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Cremona, il Dottor Storti nuovo Direttore della Terapia Intensiva e Anestesia

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Redazione 2 Dicembre 2020
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Il Dottor Enrico Storti è il nuovo Direttore della Terapia Intensiva e Anestesia dell’Ospedale di Cremona.

“L’Ospedale di Cremona rappresenta una grossa opportunità. L’équipe di Terapia Intensiva e Anestesia è molto motivata e desiderosa di crescere: insieme troveremo la strategia giusta per migliorare”.

“L’arrivo del dottor Storti a Cremona è una occasione per migliorare – afferma Giuseppe Rossi (Direttore Generale ASST Cremona). E’ una persona che ho avuto modo di conoscere professionalmente e lo reputo eccezionale, sia per le capacità cliniche sia per le doti di leadership. E’ fra i principali fautori dell’arrivo in Italia dell’ecografia clinica (Point of care): ha insegnato questa metodica in moltissimi paesi del mondo”. 

Dottor Storti, con quale spirito si accinge al nuovo incarico?
Con l’entusiasmo che precede ogni nuova sfida professionale. Questo incarico mi offre l’opportunità di entrare in un grande ospedale HUB – ossia un centro di riferimento per il politrauma (Neurovascolare, Cardiologia urgenze e Neurotrauma). Il primo desiderio è portare all’interno di questo progetto le esperienze maturate all’ASST di Lodi e all’Ospedale Niguarda dove ho avuto modo di approfondire conoscenze in diversi ambiti (terapia intensiva e sub intensiva, ecografia critica, grandi ustionati, trauma team, emergenza urgenza pre-ospedaliera – Areu118). Nella stessa misura, mi aspetto di imparare dall’esperienza dell’Ospedale di Cremona e dall’équipe di Terapia Intensiva e Anestesia, composta da professionisti di altissimo profilo che da mesi stanno dando prova di grandi capacità professionali e di una resilienza encomiabile. Mi riferisco a medici, infermieri, Oss e a tutto il personale.

Cosa significa intraprendere un nuovo percorso professionale – soprattutto in Terapia Intensiva – durante un’emergenza sanitaria?
Cominciare in una situazione di emergenza significa comprimere il periodo di “studio” e di lettura del contesto. La priorità è iniziare dall’esistente e dalla esperienza fatta dai colleghi. Questo per interagire nel migliore dei modi possibile con la situazione odierna che vede la terapia intensiva impegnata, al contempo, nella cura dei pazienti Covid e degli altri pazienti. Fondamentale l’interazione multidisciplinare fra le équipe medico – infermieristiche di Terapia intensiva e Anestesia. La squadra di Cremona è motivata e ha voglia di crescere, sono certo che mi aiuterà a trovare la strategia giusta per migliorare insieme. 

Quali i propositi a cui appellarsi?
Standard di cura internazionalmente riconosciuti e benessere organizzativo sono due capisaldi del nostro lavoro e vanno agiti in modo complementare. So bene che questo ospedale – come quello di Lodi del resto – viene da mesi decisamente intensi, gli operatori hanno dovuto e devono fare i conti con una flessibilità organizzativa estrema, che richiede dedizione e il costante impiego di energie fisiche e psichiche molto al di sopra della consuetudine. Sapremo fare tesoro di questo evento epocale per affinare ulteriormente la nostra professionalità.

Lei ha contribuito alla diagnosi del “paziente 1”, avvenuta all’Ospedale di Codogno, è cosi?
Sì, ho partecipato alla diagnosi del “paziente 1”, ero in costante contatto con la dottoressa Annalisa Malara, abbiamo deciso insieme di esplorare anche questa possibilità. La verità è che all’inizio non ci credevo, ma per fortuna si trattava di un’intuizione vera. Questa diagnosi è stata la prima tempestiva misura di contenimento dell’epidemia.

L’esperienza covid in che misura e come ha cambiato il suo “essere medico”?
Senza dubbio l’emergenza covid-19 è qualcosa che – a fronte di quasi trent’anni di professione – non avevo mai visto. Scenari pandemici in Italia erano praticamente sconosciuti alle ultime generazioni. Vedere contemporaneamente cento malati in pronto soccorso, tutti pazienti in codice giallo e rosso con necessità di ossigeno, di ventilazione meccanica è qualcosa che non si può dimenticare.
Aver affrontato tutto questo è stato, da un lato una sfida e un arricchimento professionale e dall’altro un’esperienza umana profonda. L’impossibilità di garantire la presenza dei familiari accanto ai pazienti e viceversa ha ribaltato il paradigma della terapia intensiva aperta. 

A tale proposito, qual è la sua idea di Terapia Intensiva, al di là dell’emergenza covid?
Come accennavo prima, credo molto in una terapia intensiva aperta e mi ha fatto piacere apprendere che a Cremona questa è una modalità consolidata. Una delle difficoltà principali del tempo che stiamo vivendo è proprio la gestione obbligata del reparto a “porte chiuse”, i pazienti non hanno i propri cari vicino e i familiari sono costretti ad una innaturale distanza. Senza parlare poi del dramma di chi ha salutato un congiunto a casa, nel momento dell’intervento del soccorso pre-ospedaliero e non lo ha più visto. 

Immagino che anche per medici e infermieri questo rappresenti un carico emotivo notevole. 
La comunicazione telefonica, seppur indispensabile in questa fase, non può sopperire alla presenza. Dare notizie, a volte tristi, senza la possibilità di uno sguardo, di condividere un silenzio; senza il conforto di una stretta di mano è davvero complicato. Tutti aspetti fondamentali che definiscono la relazione di cura e aiutano a comprendere cosa sta accadendo; ad affrontare il dolore della malattia o del lutto. La videochiamata con un parente in terapia intensiva è potenzialmente rassicurante, ma anche un’esperienza non semplice da vivere, richiede delicatezza e un’attenta fase di preparazione. 

Cosa significa prendersi cura di un paziente dentro la terapia intensiva?
Anzitutto significa adottare un atteggiamento di presa in carico totalizzante per risolvere i problemi acuti che hanno reso necessario il ricovero in terapia intensiva. Stiamo parlando di pazienti tempo dipendenti che, al di là delle cure, necessitano di scelte cliniche e della rapida ridefinizione delle priorità terapeutiche. Sono malati complessi, quasi mai hanno un problema limitato a un solo organo, per questo la “regia” deve essere attenta e costante: è indispensabile prevenire problemi, non solo controllarli e monitorarli.
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Enrico Storti, classe 1965, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Milano dove ha conseguito le specialità in Medicina interna e Anestesia e Rianimazione. Dal 2000 è stato Dirigente Medico Specialista in Anestesia e Rianimazione all’Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano. Dal 2016 ha lavorato all’ASST Lodi prima in qualità di Direttore dell’UOC di Terapia intensiva e sub intensiva, poi di Direttore dell’UOC di Anestesia e Rianimazione. E’ fra gli ideatori e soci fondatori dell’organizzazione scientifica no-profit Winfocus (World Network Focused on Critical Ultrasound) attraverso la quale ha sviluppato collaborazioni internazionali con diversi paesi, fra cui Cina, India, Australia, Russia e USA. 

Fonte: www.asst-cremona.it

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