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Morbo di Crohn, a che punto siamo con le nuove terapie?

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Redazione 10 Febbraio 2021
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La definizione di Morbo di Crohn, o Malattia di Crohn, stata data per la prima volta alla fine degli anni ‘30 dai chirurghi dell’Università Mounth Sinai di New York, tra i quali appunto il dott. Burrill Bernard Crohn: il professor Massimo Campieri, specialista in Gastroenterologia e Medicina Interna del GVM Care & Research group, ne racconta la storia, le nuove terapie e l’iter diagnostico.
All’epoca i medici trovarono delle infiammazioni dell’ileo non dovute alla tubercolosi intestinale o ad altre cause conosciute. Ed in effetti, quali siano le cause scatenanti di questa patologia infiammatoria dell’apparato digerente è ancora oggi l’elemento più importante da chiarire.

Alcuni indizi sulle cause del Morbo di Crohn

Resecando le aree colpite, perlopiù ileo e cieco, ci si trova di fronte a un’infiammazione con caratteristiche diverse da quelle, per esempio, della colite ulcerosa: l’infiammazione del Morbo di Crohn penetra la mucosa e interessa la sottomucosa e gli stati profondi. A livello superficiale, invece, l’infiammazione è segmentaria, con aree più interessate e aree meno colpite dai segni. Tutto questo lascerebbe pensare che ci sia un agente che trapassa la mucosa e ingeneri una reazione difensiva granulomatosa.

Che si tratti di un agente virale, batterico, di un micoplasma, di sostanze ingerite tramite l’alimentazione è uno degli elementi fondamentali da chiarire per comprendere e trattare meglio questa patologia. Quando finalmente saranno individuate le cause genetiche e gli agenti patogeni che scatenano la reazione infiammatoria, anche il trattamento della patologia ne gioverà in termini di successo e efficacia.

Cosa sappiamo oggi per certo

Quello che oggi è certo è che il Morbo di Crohn si presenta più facilmente e con maggiore severità quando c’è familiarità. Un’ipotesi sull’origine della patologia potrebbe essere proprio che questi gruppi genetici abbiano dei deficit nella funzione o nella struttura delle mucose.

La ricerca, comunque, ha fatto passi avanti. Fino agli anni ‘70 la discussione su come definire il Morbo di Crohn era aperta. Oggi si sa che è una patologia diversa dalla colite ulcerosa, anche perché nelle forme più estese arriva a colpire stomaco, esofago e altri organi. Tuttavia, potrebbe anche darsi che stiamo definendo “Morbo di Crohn” un insieme di più patologie infiammatorie gastrointestinali, con manifestazioni simili, ma dall’origine diversa.

Per certo, sappiamo che quando la Malattia di Crohn si manifesta in forma severa ha un impatto enorme sulla qualità della vita e diventa una vera e propria patologia sistemica, che riguarda cioè tutto l’organismo. Inoltre, può creare stenosi nell’intestino, generare fistole e ascessi. Oggi, il morbo tende a colpire fasce di età sempre più giovani. Se fino a qualche anno fa i dati ci raccontavano che la fascia più colpita era quella tra i 18 e i 24 anni, attualmente sono ragazzini ancora più giovani a soffrirne. I dati clinici però hanno permesso di classificare questa patologia per gradi di severità, sulla base degli indici infiammatori, del valore della calprotectina fecale e dell’osservazione endoscopica con prelievo istologico delle regioni colpite.

Il punto sulle terapie per il Morbo di Crohn

Tradizionalmente il Morbo di Crohn è curato con la stessa terapia della colite ulcerosa: cortisone e alte dosi per 6/8 settimane e immunosoppressori. Oggi nel trattamento di pazienti giovanissimi e pediatrici i tentativi di somministrare diete apposite (oligoantigeniche) hanno prodotto buoni risultati, quando sono state rispettate le indicazioni alimentare.

Inoltre, i farmaci biologici anti tnf-alfa rappresentano oggi una chance di trattamento in più dal momento che l’evidenza scientifica suggerisce che in questa patologia sono presenti numerosi antigeni tnf-alfa. È su di essi che agiscono questi particolari farmaci, che sono risultati efficaci. Oggi prassi primaria nei pazienti giovanissimi per evitare il cortisone, mentre nelle forme estese e complicate e nelle forme a interessamento anale sono efficaci per ripulire e chiudere le fistole. Questi farmaci hanno un effetto cicatrizzante e devono essere usati con prudenza.

Accanto a queste terapie ci sono nuovi trattamenti che per esempio hanno la funzione di bloccare il passaggio dei leucociti dal sangue ai tessuti, impedendo la reazione infiammatoria, o anticorpi monoclonali, oggi usato come farmaco di seconda scelta per bloccare gli effetti dell’infiammazione quando le altre terapie mediche falliscono. Negli ultimi anni il trattamento farmacologico del Morbo di Crohn è progredito molto e ad oggi sono in corso ulteriori sperimentazioni che sembrano dare risultati incoraggianti per la chiusura delle fistole dopo curettage e per il rimodellamento delle mucose danneggiate grazie alle cellule staminali.

Nonostante i progressi delle terapie antinfiammatorie, in cui i farmaci nuovi vanno ad affiancare quelli tradizionali, il trattamento della Malattia di Crohn cambierà davvero solo quando verranno individuati gli agenti (presumibilmente di varia natura) che causano questo danno. Al momento sappiamo che le terapie hanno più successo sulle forme lievi di infiammazione.

Come si fa la diagnosi

Un elemento cruciale è la diagnosi della patologia, che va eseguita quando ci sono segni di tipo diarroico che fanno pensare a un’infiammazione dell’apparato digerente. Si eseguono endoscopie con prelievo di tessuti per fare l’esame istologico e oggi ci si avvale di metodiche come l’entero-TC o entero-Risonanza per visualizzare l’interno dell’intestino.

A fronte di queste metodiche fondamentali per osservare i segni caratteristici, comunque, alla diagnosi di Morbo di Crohn si arriva escludendo altre patologie. Compito del gastroenterologo è proprio quello di individuare il Morbo di Crohn quando il paziente arriva alla visita. Infatti, diagnosticare tempestivamente la patologia migliora l’esito terapeutico e consente di prevenire lo sviluppo ulteriore dell’infiammazione. Solo dopo aver trovato la giusta diagnosi, il gastroenterologo può consigliare al paziente l’iter terapeutico più adatto al suo caso clinico.

Fonte: www.gvmnet.it

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