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Approfondimenti Medicina

Esofago di Barrett: diagnosi precoce e come si cura

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Redazione 2 Febbraio 2023
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L’esofago di Barrett è una malattia dell’esofago che comporta l’alterazione della mucosa esofagea, correlato il più delle volte al reflusso di succo acido gastrico (Malattia da reflusso gastroesofageo – MRGE).  Questa alterazione, detta anche metaplasia intestinale (‘meta’ dal greco ‘trasformazione’), è uno stato reversibile, ma, se non trattato, può diventare in una parte di pazienti, per fortuna modesta, una condizione precancerosa (displasia prima di basso e poi di alto grado) e negli anni trasformarsi in neoplasia maligna.

A parlarcene il Prof. Riccardo Rosati, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Gastroenterologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e il Dottor Elio Treppiedi, aiuto chirurgo presso la stessa Unità.

Esofago di Barrett, in chi si riscontra la malattia

L’esofago di Barrett ha una prevalenza compresa tra lo 0.5% ed il 2% della popolazione mondiale adulta. In particolar modo si riscontra frequentemente in:

  • uomini di etnia caucasica; 
  • età compresa tra i 50 e i 60 anni; 
  • pazienti con reflusso gastroesofageo di lunga data (spesso non consapevoli e/o sintomatici per tale reflusso). 

“Per dare dei numeri basti pensare che una percentuale variabile compresa tra il 5 ed il 15% dei pazienti affetti da malattia da reflusso gastroesofageo sintomatici presentano un Esofago di Barrett e che questo, a sua volta, aumenta il rischio di sviluppare una neoplasia dell’esofago tra 30 e 120 volte superiore rispetto a quello della popolazione generale”, specificano gli specialisti.

I sintomi

La manifestazione della malattia da reflusso è vaga e con un quadro clinico povero di sintomi. Questi quando presenti sono i cosiddetti sintomi tipici:

  • pirosi (bruciore) retrosternale;
  • fastidio epigastrico (a volte dopo mangiato, a volte a digiuno);
  • pesantezza post-prandiale;
  • sensazione di reflusso acido talvolta che risale direttamente in bocca.

Talvolta la sintomatologia invece comprende dei sintomi cosiddetti atipici, spesso ancora più trascurati dal paziente stesso come: 

  • tosse; 
  • raucedine;
  • mal di gola la mattina.

È proprio per questi segni indiretti e vaghi della malattia da reflusso gastroesofageo che spesso i pazienti ottengono una diagnosi tardivamente, rischiando che il quadro, laddove non noto, si presenti in fase avanzata. 

La diagnosi

Per una prima diagnosi dell’Esofago di Barrett, il paziente deve eseguire:

  • gastroscopia (EGDS);
  • biopsie della mucosa displastica e, se presenti, delle lesioni. 

È bene rivolgersi ad un centro con elevata expertise, sia in endoscopia che in anatomia patologica, perché il quadro non venga confuso con l’esofagite o altre malattie più rare dell’esofago. 

Classificazione e cura dell’esofago di Barrett

La classificazione dell’esofago di Barrett si basa sulla cosiddetta classificazione di Praga. “Si tratta di una classificazione endoscopica, effettuata quindi durante l’EGDS, che permette di quantificare la sua estensione, sia in termini di circonferenza (C) che in distanza del suo margine superiore (M). 

L’endoscopista esperto dovrà, di fronte a tale sospetto, effettuare delle biopsie della mucosa secondo un protocollo ben preciso (protocollo di Seattle con un numero elevato di prelievi sui 4 quadranti a diversi livelli sull’esofago) al fine di ottenere una conferma istologica del sospetto Barrett – continuano gli specialisti -. Tali biopsie verranno analizzate da un Anatomo Patologo, esperto nella gestione di questi casi, che formulerà una diagnosi precisa sullo stato della mucosa. 

Si può pertanto confermare unicamente la metaplasia intestinale oppure si può mettere in evidenza delle lesioni sempre più sospette in senso degenerativo, passando dalla displasia di basso grado a quella di alto grado sino ad arrivare all’adenocarcinoma dell’esofago. La trasformazione di tali lesioni da metaplasia intestinale in adenocarcinoma esofageo può essere un processo molto lento negli anni, ma va intercettato, diagnosticato e trattato”.

Ecco perché è fondamentale una presa in carico multidisciplinare per un corretto approccio alla malattia, in cui vengano coinvolte le figure di gastroenterologo, endoscopista e l’anatomopatologo in affiancamento al chirurgo. “Quest’ultimo è anche lo specialista centrale nel trattamento del paziente che è andato incontro ad un’evoluzione dell’esofago di Barrett verso il tumore dell’esofago, e questo percorso curativo prevede il coinvolgimento anche di altre figure professionali ovvero l’oncologo, il radioterapista, radiologo, il medico nucleare, il nurse navigator”.

In base alla classificazione, l’esofago di Barrett può essere trattato con molteplici approcci:

  • terapia farmacologica con inibitori di pompa e follow-up endoscopico; 
  • chirurgica con plastica antireflusso: il Barrett è associato ad una malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) e la plastica antireflusso diminuisce/azzera l’effetto lesivo dell’acido gastrico sull’esofago;
  • trattamento per via endoscopica, attraverso una ablazione (bruciatura superficiale) o un’asportazione (EMR – ESD) della parte della mucosa danneggiata.

Alimentazione ed esofago di Barrett

Non esiste una dieta specifica per la prevenzione o il trattamento dell’esofago di Barrett. “Si rimanda pertanto ad una dieta/alimentazione che contrasti il reflusso gastro-esofageo e pertanto l’infiammazione dell’esofago. Occorre inoltre avere delle abitudini dietetico-comportamentali che possono aiutare nel controllo del reflusso. Tra questi ricordiamo:

  • evitare i pasti abbondanti;
  • avere una dieta con pochi grassi;
  • mangiare lentamente, masticando bene;
  • non coricarsi dopo aver mangiato;
  • evitare cibi troppo caldi o freddi;
  • non fumare e non bere alcol”.

Evoluzione neoplastica: diagnosi e terapie 

Una volta posta la diagnosi di sospetto Esofago di Barrett, le biopsie evidenziano o meno la presenza di lesioni neoplastiche ed in caso ne stratificano il rischio di evoluzione. 

“Qualora venisse confermata una diagnosi di adenocarcinoma dell’esofago, il paziente dovrà essere preso in carico dal team multidisciplinare che elabora un algoritmo personalizzato di trattamento – continuano gli esperti -. 

Si procederà ad alcune indagini di approfondimento, come l’ecoendoscopia, la TAC torace-addome, la RMN e la PET, ed in base alla stadiazione preoperatoria si deciderà l’iter terapeutico. La creazione dei Team Multidisciplinari dedicati alla patologia ha permesso una condivisione delle idee, delle conoscenze scientifiche e pertanto delle decisioni che porta senza dubbio ad una migliore opportunità di cura per il paziente”.
Compito del gruppo multidisciplinare è anche quello di far giungere il paziente all’intervento nelle migliori condizioni possibili, sia dal punto di vista nutrizionale che del performance status fisico e pertanto è fondamentale la presa in carico dei pazienti da parte del fisioterapista e del nutrizionista.

Una volta terminate tutte le indagini preoperatorie, il paziente può essere candidato direttamente ad un intervento chirurgico di esofagectomia o, nella maggior parte dei casi, ad un trattamento chemioterapico o chemioradioterapico prima dell’intervento chirurgico. L’intento di tale trattamento, qualora indicato, è di ridurre le dimensioni della lesione neoplastica e dei linfonodi aumentati di volume eventualmente presenti, così da avere un miglior controllo della malattia e diminuire il rischio di ripresa a distanza. 

L’intervento chirurgico di esofagectomia

L’intervento chirurgico di ’esofagectomia è uno tra i più complessi della chirurgia dell’apparato digerente e l’IRCCS Ospedale San Raffaele è il primo centro in Italia per numeri e casistica per l’esecuzione di questo intervento e gestione di tale patologia. 

“Si tratta di un intervento che comporta la rimozione di una parte dello stomaco e di una parte dell’esofago insieme alle linfoghiandole regionali, con la creazione di un’unione tra la porzione di esofago restante e la porzione di stomaco che è stato preservato, ‘tubulizzato’ e trasposto in torace. 

Per la localizzazione anatomica dello stomaco e dell’esofago, questo intervento necessita di una fase addominale e di una toracica e può essere eseguito per via tradizionale in chirurgia aperta, ma oggi soprattutto per via mininvasiva, ovvero mediante la laparoscopia (nel tempo addominale) e la toracoscopia (nel tempo toracico). Anche in questo, l’esperienza chirurgica dell’Ospedale San Raffaele rappresenta una tra le più ampie a livello internazionale”, spiegano gli specialisti.

A seguito dell’intervento, il paziente, dopo qualche giorno in cui la nutrizione artificiale garantisce l’apporto calorico, può riprendere ad alimentarsi per bocca modificando un poco le proprie abitudini. “La dieta deve essere frazionata con pasti piccoli e frequenti, 5/6 volte con vari spuntini intervallati durante la giornata e dei pasti principali meno abbondanti. Dopo qualche mese, la qualità di vita del paziente è ottima e non ci sono limitazioni”.

Fonte: www.hsr.it

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