Perché il picco dei contagi non arriva?
8 marzo: in piena emergenza coronavirus il governo con un nuovo decreto estende la zona rossa a tutta la Lombardia e ad altre 14 province con scadenza 3 aprile. Poche ore dopo il provvedimento sarà esteso a tutta Italia onde limitare gli spostamenti in massa verso regioni meno colpite e il proliferare del contagio.
Tutti a casa quindi, evitare i contatti e distanza tra persone presto diventano un mantra ripetuto all’infinito nella mente di tutti.
E per fortuna: continuare a sottostimare l’impatto di questo virus su persone e sistemi sanitari regionali meno strutturati del ricco nord avrebbe portato una catastrofe ben peggiore.
Eppure qualcosa manca. La quarantena è stata imposta troppo tardi -almeno in Lombardia -, senza implementare alcune basilari regole per evitare i nuovi contagi di chi già malato si è dovuto chiudere in casa con figli, compagni e magari anche genitori.
Perchè Milano tiene? Perchè i focolai si sono estesi in provincia e non in città?
In questi giorni le grandi paure sono tutte per Milano e per i rischi di un contagio diffuso in una metropoli che sarebbe disastroso. Ma vogliamo provare a trovare una risposta al perché i focolai principali sono partiti altrove e al perché in certe zone dopo tre settimane chiusi in casa i malati continuino ad aumentare?
La dimensione dei nuclei familiari e le tradizioni: un fattore trascurato?
Partendo dai dati Istat il numero medio di componenti per famiglia a Milano è di 2,1 contro il 2,4 di Lodi, Bergamo e altre province. Teniamo bene in mente questo dato.
Una risposta alla non esplosione di contagi a Milano nonostante i focolai fossero alle sue porte potrebbe essere la dimensione dei nuclei familiari delle persone socialmente attive: nella metropoli molti vivono da soli o al massimo in coppia, spesso senza figli e senza parenti anziani vicini dato l’alto tasso di immigrazione. Se si sentono influenzate il venerdì sera prima di tornare al paese natale queste persone se ne stanno a letto e non partono. Quindi, mia opinione, a Milano di infetti ce ne sono stati eccome ma la catena dei contagi si è il più delle volte fermata prima di arrivare ai più fragili limitando la percezione del fenomeno a casi evidenti come le residenze per anziani e disabili.
A Lodi invece, così come a Bergamo e a Brescia, le famiglie nascono più giovani ed è ancora normale per un trentenne socialmente attivo essere già sposato e genitore. I nonni danno una mano, abitano vicini (se non nello stesso stabile) e li si va a trovare una volta a settimana, mangiandoci assieme la domenica. La differenza è evidente e la linea che porta il coronavirus in casa dell’anziano parte dai direttamente dai figli e dai nipoti.
Quarantena e famiglie numerose
Veniamo agli effetti della quarantena, misura giusta e ineluttabile. Perché, pur avendo rallentato la crescita dei contagi, questo benedetto picco ancora non arriva dopo tre settimane? Forse tenere in isolamento un infetto in famiglie numerose non è facile, forse molti dopo essersi chiusi in casa ed avere iniziato a manifestare i primi sintomi dopo l’inizio della quarantena hanno passato la malattia ai conviventi che dopo un’altra incubazione hanno manifestato a loro volta febbre e magari brutte polmoniti richiedendo un ricovero, un posto in terapia intensiva, una bara. Forse dimettere un malato per mancanza di posto in ospedale e rimandarlo a casa appena inizia a respirare autonomamente senza considerare chi avrà vicino non è il modo più intelligente per porre fine a questo periodo assurdo.
Cosa è mancato: isolare subito i sintomatici. Una quarantena funziona se le persone infette non hanno contatti con altri. Rinchiudere famiglie intere obbligandole alla convivenza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 senza togliere i malati appena manifestano i primi sintomi ha lo svantaggio di creare nuovi infetti magari più gravi dei primi.
E qui la dimensione dei nuclei familiari conta: sarà un caso che a Monza e Brianza, dove la malattia non era arrivata in tutta la sua forza, i casi ancora non accennano a rallentare?
Foto: social