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Giornata mondiale contro l’AIDS: non abbassare la guardia

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Redazione 1 Dicembre 2021
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In occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS il Dottor Fabio Franzetti, responsabile S.C. Malattie Infettive dell’ASST Valle Olona, commenta i numeri dell’infezione da HIV registrati nel 2020 e ci spiega perchè è importante non abbassare la guardia su questa malattia.


Quanti sono i casi di infezione da HIV in Italia? Come la pandemia ha influenzato tali dati?

Fabio Franzetti: “Come tutti gli anni il Ministero della Salute pubblica sul Notiziario Istisan il resoconto dei dati sulla diffusione dell’infezione da HIV relativi all’anno precedente. Quelli del 2020 sono dati molto particolari rispetto al passato, perché risentono dell’impatto della pandemia da Covid-19, con tutti gli sconvolgimenti sociali e sanitari che ne sono derivati.

Il rapporto segnala che l’anno scorso in Italia sono state effettuate 1.303 nuove diagnosi di infezione da HIV, pari a 22 nuovi casi per milione di residenti. L’incidenza è inferiore rispetto a quanto osservato in Europa (in media 33 nuovi casi per milione) e conferma la costante riduzione che si osserva dal 2012, anche se i dati del 2020 lasciano delle incertezze rispetto alla loro completezza per diversi motivi facilmente intuibili. Infatti, i casi potrebbero essere sottostimati a seguito di difetti di notifica dei reparti fortemente impegnati per la cura del Covid-19 e a causa delle misure di contenimento della pandemia che potrebbero aver ridotto l’accesso ai servizi. In tutto il mondo sono stati documentati gli effetti sulla diffusione dell’infezione dovuti alla riduzione delle campagne educativo-informative e delle opportunità di screening.

Riflettendo sui dati italiani si può notare che, come consueto, l’incidenza più elevata si riscontra nella fascia di età 25-29 anni. Quindi, ancora una volta come succedeva negli anni ’80 e ’90 all’inizio della diffusione di HIV, sono i giovani i più esposti. Oggi però, rispetto ad allora dove l’epidemia coinvolgeva soprattutto chi faceva uso di stupefacenti per via endovenosa, la modalità di trasmissione più frequente (un po’ meno della metà dei casi) è attribuita ai rapporti sessuali tra maschi. E’, questa un’osservazione ormai consolidata da anni, ma che induce a considerazioni anche di segno opposto: è altrettanto vero che in quasi la metà dei casi (intorno al 42%) vengono indicati i rapporti eterosessuali come potenziale modalità di trasmissione. Questo dato sembra indicare un abbassamento del livello di guardia in tutta la popolazione: si ritiene che spesso proprio gli eterosessuali non si ritengano soggetti “a rischio” e non sempre sono oggetto di un’adeguata campagna di informazione.

Considerazioni analoghe possono essere derivare anche da uno dei dati più sconcertanti delle rilevazioni del Ministero della Salute: anche nel 2020 si conferma che più di un terzo delle persone con nuova diagnosi di HIV viene a conoscenza dell’infezione dopo la comparsa di sintomi o patologie correlate all’AIDS, quindi quando la malattia è conclamata e questa proporzione è anche più elevata tra coloro in cui si sospetta una trasmissione tramite rapporti eterosessuali.”


Qual è il messaggio che vuole lanciare in occasione della Giornata Mondiale contro l’HIV?

FF: “E’ decisivo, quindi, proseguire nell’opera di sensibilizzazione della popolazione sull’esecuzione del test anche se il potenziale rischio di malattia risale al passato remoto. Altrimenti molti dei nuovi sieropositivi, che hanno contratto il virus attraverso rapporti sessuali non protetti, non sapendo di esserlo e continueranno a diffondere la malattia senza consapevolezza del rischio.”


Quali sono gli attuali strumenti a disposizione per la prevenzione e la cura dell’infezione?

FF: L’opportunità di sottoporre a screening tutte le persone in cui vengono identificati comportamenti a rischio è uno degli strumenti più efficaci per arginare la diffusione del virus e per contrastarlo precocemente in chi scopre con il test un’infezione di cui non era a conoscenza. Gli ambulatori per lo screening delle malattie a trasmissione sessuale (MTS) hanno operato in questo settore coniugando le procedure di diagnostica precoce con il ricorso sistematico a un’opera di informazione/formazione per sensibilizzare sui comportamenti corretti (il cosiddetto counseling).

Tra questi ultimi anche la possibilità di ricorrere alla profilassi pre-esposizione (la PREP), cioè l’impiego di farmaci antivirali in maniera preventiva. Attualmente si utilizza una compressa, contenente due farmaci attivi su HIV, che può essere prescritta alle persone sieronegative (quindi senza infezione da HIV) che prevedono di avere rapporti promiscui e che per questo sono potenzialmente a rischio. La PREP può prevenire il contagio da HIV, ma non può nulla contro le altre infezioni a trasmissione sessuale come la sifilide o l’epatite A. Perciò anche in questo caso emerge l’importanza del counseling, che abbraccia la tematica della prevenzione di queste infezioni, non limitandosi a proporre l’uso di farmaci e vaccini, pur importanti come nel caso dell’HIV, ma anche sensibilizzando sull’adozione di comportamenti che riducano il rischio di trasmissione sessuale di molte patologie.”


Qual è stata l’incidenza della pandemia nella realtà del territorio di Busto Arsizio e limitrofi?

FF: “Purtroppo, in molte realtà, inclusa quella dell’Ospedale di Busto Arsizio, la pandemia da Covid-19 ha inciso in maniera molto negativa sull’offerta di questi servizi. Infatti, l’attività del centro per le MTS dell’ASST Valle Olona, che era attivo dal febbraio 2018 presso l’ambulatorio delle Malattie Infettive e durante il 2019 aveva effettuato quasi 600 visite, con esami diagnostici e somministrazioni di vaccini (ad esempio quelli per l’epatite A o per il meningococco), è stata sospesa dalla primavera 2020 a causa della pandemia da Covid. Da allora continua ad essere garantita solo l’offerta gratuita del test per l’HIV in anonimato. L’offerta estesa di una diagnostica per HIV alla portata di tutti è un elemento di assoluta rilevanza per intercettare il cosiddetto sommerso, cioè i casi di infezione sconosciuti, soprattutto per l’assenza di sintomi.”


Quanti pazienti segue annualmente il reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale di Busto?

RW: “L’Unità Operativa di Malattie Infettive che opera presso l’Ospedale di Busto Arsizio segue ogni anno più di 1300 pazienti con infezione da HIV.

Sono stati 1325 nel 2020, con un aumento del 4% rispetto all’anno precedente, nonostante la pandemia da Covid. A tutti costoro ha garantito in questi due anni la prosecuzione delle cure indispensabili alla cura della malattia, dispensando senza interruzione tutti i farmaci necessari. Cosa invece è venuto a mancare nel progetto terapeutico che per molte di queste persone va avanti da decenni (alcune frequentano l’ambulatorio di Malattie Infettive da più di 30 anni)? Sostanzialmente la periodicità delle visite che era stata fornita negli anni precedenti: chi era abituato ad appuntamenti ogni 3-4 mesi è stato aggiornato telefonicamente del risultato degli esami del sangue, ma senza poter più accedere alla visita con il medico curante, se non in caso di urgenza. Rispetto al 2019, le visite nei primi 8 mesi del 2021 si sono ridotte di più del 70%! Negli ultimi mesi è stato possibile riprendere la continuità delle visite “in presenza”, con mutua soddisfazione di paziente e medico, ma l’instabilità della situazione pandemica non dà garanzie per l’immediato futuro.”


Parliamo ci cura: esiste una cura dell’HIV?

FF: “Oggi come mai prima, giungere a una diagnosi precoce è fondamentale: l’HIV ha una cura! I farmaci funzionano e il trattamento va considerato alla stregua di una delle tante cure per le malattie croniche, che hanno bisogno di una terapia continua. Oggi questa terapia è molto più semplice e sicura del passato: quasi sempre basta una pastiglia al giorno e gli effetti collaterali sono molto rari. Basta avere la costanza di non sospenderla!

In più il futuro prossimo venturo ci riserva anche ulteriori miglioramenti: ci sono già due farmaci a lunga durata di azione (cabotegravir e rilpivirina) da assumere per via intramuscolare ogni 1 o 2 mesi e a breve sarà disponibile un trattamento antivirale basato su un solo farmaco (lenacapavir) da assumere tramite due sole iniezioni all’anno.

La ricerca scientifica non si è mai fermata e così deve essere per tutti i nostri sforzi per tener alta la vigilanza su un problema che coinvolge ancora più di 100.000 persone nel nostro Paese.”

Fonte: www.asst-valleolona.it

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