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All’Ospedale Niguarda si “cura” la bellezza: l’estetista entra in Terapia Intensiva

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Francesca 15 Febbraio 2024
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All’Ospedale Niguarda di Milano si “cura” la bellezza: l’estetista entra in Terapia Intensiva per rendere l’incontro tra mamma e figlia di tre anni meno traumatico.

All’Ospedale Niguarda si “cura” la bellezza: l’estetista entra in Terapia Intensiva

A volte è questione di attimi, momenti di distrazione che possono essere fatali. Questo è ciò che è successo ad una giovane mamma, investita accidentalmente da un auto di ritorno da lavoro. Dapprima l’arrivo in Pronto Soccorso, a cui ha fatto seguito la tragica diagnosi: frattura pelvica, lesione della vescica, danni intestinali e problemi respiratori, che hanno richiesto una tracheostomia.

Un incidente estremamente provante, non solo per le conseguenze fisiche: l’evento e il ricovero hanno portato con sé il dolore e le incertezze verso il proprio corpo. A ciò si aggiunge la preoccupazione di incontrare la figlia di tre anni: un incontro desiderato, ma le cui conseguenze sul suo vissuto emotivo sono incerte. Che effetto può avere su di lei vedere l’aspetto della madre segnato dagli interventi chirurgici?

Queste sono realtà che l’equipe del reparto di Anestesia e Rianimazione, diretto da Roberto Fumagalli, è abituata a vedere. E per quanto possa essere complesso, la cura verso i pazienti e i loro parenti viene sempre al primo posto, così come la sensibilità verso una situazione difficile, in cui l’incontro tra mamma e figlia è ostacolato dai timori e dalle preoccupazioni delle possibili ripercussioni.

È a questo punto, infatti, che i professionisti del reparto hanno proposto di chiedere aiuto ad una estetista che aveva già lavorato in ambito oncologico. L’idea non era quella di apportare grandi cambiamenti all’aspetto della donna, quanto di farla sentire più a proprio agio con il suo corpo e rasserenarla da un punto di vista emotivo. 

L’incontro

Grazie all’attenzione ai particolari e alla sensibilità nei confronti delle persone che si incontrano in Terapia Intensiva, aspetti che la coordinatrice infermieristica Isabella Fontana e il responsabile del personale medico Giampaolo Casella hanno saputo coltivare nel team multidisciplinare, e all’aiuto della psicologa Barbara Lissoni, fondamentale nel preparare il terreno emotivo dell’incontro, mamma e figlia si sono finalmente potute riabbracciare.

La tracheostomia poteva impedire di parlare, ma in quel momento le parole non erano necessarie: la luce nei loro occhi era sufficiente a descrivere l’emozione di quel momento. Anche l’aspetto non era più così importante: l’eccellente lavoro dell’estetista era stato utile soprattutto da un punto di vista umano, conferendo alla famiglia un senso di “normalità” che, in quel momento, sembrava loro perduta.

Una storia toccante, che ha ricordato come la Terapia Intensiva possa essere un ambiente in cui “umanizzazione delle cure” significa soprattutto sapersi mettere nei panni di chi sta soffrendo, mostrando sensibilità verso il vissuto del paziente e i suoi cari. Un’attenzione speciale, che dà all’equipe la possibilità di fare il miracolo più grande: quello dell’empatia.

Quanto successo in questa occasione, tra l’altro pubblicata su Intensive Care Medicine, la rivista più prestigiosa nel settore, è frutto di un’opera di sensibilizzazione iniziata ormai molti anni fa – commenta Roberto Fumagalli, Direttore dell’Anestesia e Rianimazione di Niguarda – “All’interno di una collaborazione tra la Fondazione Sasso Corbaro per le Medical Humanities e l’Università Bicocca-Niguarda molti di noi partecipano ad un percorso formativo dove, all’interno dei percorsi di cura, vengono sistematicamente introdotti sia criteri etici che orientano le decisioni nei casi più problematici sia un’attenzione nei confronti della dignità del paziente e delle sue volontà/aspettative. Questo favorisce quell’attitudine a mettersi nei panni di chi ci sta davanti e a partecipare alle emozioni di chi assistiamo (paziente o parente). In questo specifico periodo storico, dove anche a causa della pandemia, l’esperienza della solitudine è diventata molto diffusa, creare un ambiente che favorisce l’empatia deve essere vista come elemento costitutivo essenziale della cura del paziente”.

Fonte: www.ospedaleniguarda.it

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