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Disturbo dello Spettro Autistico: un batterio può mitigare i sintomi psicosociali

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Francesca 16 Gennaio 2024
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Uno studio internazionale, che in Italia ha visto capofila il Policlinico Tor Vergata in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, ha dimostrato l’efficacia di uno specifico ceppo del batterio Lactobacillus reuteri, probiotico normalmente presente nel microbiota intestinale, per ridurre i sintomi psicosociali delle sindromi dello spettro autistico .

Disturbo dello Spettro Autistico: un batterio può mitigare i sintomi psicosociali

L’intestino è stato definito “il secondo cervello” e al suo interno si celano possibili nuove terapie per risolvere disturbi neurologici e psichiatrici. In particolare il microbiota intestinale, ossia l’insieme di batteri, funghi, virus e altri organismi che aiutano ad assimilare cibi complessi e forniscono una barriera fondamentale per proteggerci dalle infezioni.

Il Disturbo dello Spettro Autistico, che in Italia ha un’incidenza di 1 bambino su 77 tra i 7 e i 9 anni, è tra le condizioni sulle quali la ricerca si è maggiormente concentrata per comprendere la relazione tra l’asse intestino cervello e i sintomi peculiari dell’autismo. Questi studi hanno evidenziato un’aumentata incidenza di disturbi gastrointestinali e di profili di microbiota differenti nei bambini con autismo rispetto a bambini neurotipici.

Lo studio

Partendo da questi dati un’equipe internazionale di ricercatori ha sperimentato, nel contesto di un trial clinico randomizzato a doppio cieco, controllato con placebo, l’efficacia di una specifica combinazione di ceppi probiotici somministrati attraverso un’integrazione dell’alimentazione.

Il trial clinico ha coinvolto 43 bambini tra i 4 e gli 8 anni e l’intero progetto, durato più di 3 anni, ha visto la collaborazione di istituti di ricerca europei e statunitensi.

I risultati ottenuti hanno dimostrato che l’assunzione di una particolare combinazione di Lactobacillus reuteri (un prodotto contenente i ceppi ATCC-PTA-6475 e DSM-17938) migliora il funzionamento prosociale nei bambini con autismo che hanno partecipato allo studio.

Spiega il prof. Luigi Mazzone, Neuropsichiatra Infantile del Policlinico Tor Vergata di Roma “Il trial che abbiamo realizzato ha confermato che l’assunzione di terapie integrative con probiotici è un campo di ricerca molto promettente: i pazienti che abbiamo coinvolto, pur non avendo un miglioramento dei sintomi generali hanno ottenuto degli evidenti benefici nel funzionamento sociale in particolare sulle abilità sociali adattive.  Alla luce di quanto emerso dal nostro studio e in linea con quanto presente in letteratura, riteniamo utili studi più ampi, che permettano di approfondire gli effetti specifici di singoli ceppi sulla sintomatologia autistica”.

Per questo studio sono stati analizzati, con tecniche avanzate di ultima generazione il microbiota intestinale e il sistema immunitario, due componenti essenziali dell’asse intestino-cervello, ed è stato riscontrato che la supplementazione probiotica non altera il microbioma intestinale e il profilo immunitario dei bambini.

“Uno dei punti di forza del nostro studio”, conclude la dott.ssa Elisabetta Volpe “è la sua multidisciplinarietà che ci ha permesso di analizzare più mediatori della comunicazione intestino-cervello, come comportamento, microbiota e sistema immunitario, e ritengo che ulteriori studi in questa direzione ci permetteranno di individuare i fattori biologici associati alle disfunzioni comportamentali, utili per una migliore comprensione dell’autismo”.

Il lavoro dei ricercatori su modelli sperimentali ha inoltre dimostrato l’efficacia del singolo ceppo specifico di Lactobacillus reuteri (ATCC-PTA-6475).

Hanno collaborato l’equipe di ricerca di neuropsichiatria infantile del prof. Luigi Mazzone del Policlinico Tor Vergata di Roma, il laboratorio di Neuroimmunologia Molecolare della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, diretto dalla dott.ssa Elisabetta Volpe, l’equipe del prof. Mauro Costa Mattioli del Baylor College of Medicine di Houston e del prof. Antonio Y. Hardan del dipartimento di psichiatria dell’Università di Stanford. Hanno inoltre collaborato allo studio altri istituti italiani, australiani e svedesi.

I risultati ottenuti sono stati pubblicati sulla rivista Cell Host & Microbe.

Fonte: www.hsantalucia.it

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