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Patch Test per le allergie: cos’è e come si legge

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Redazione 2 Febbraio 2022
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Il patch test è l’esame fondamentale per la diagnosi delle allergie e della dermatite allergica da contatto, condizione patologica della pelle con manifestazioni simili ad altre forme di eczema, irritativo o atopico: il primo passo per curare queste dermatiti nel modo più corretto ed efficace, quindi, è scoprirne la reale origine proprio grazie al patch test che permette di differenziare le dermatiti irritative da quelle allergiche da contatto. Ma in cosa consiste? Come si esegue? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Michela Lauriola, dermatologa del Policlinico San Marco, che da anni si occupa di dermatologia allergologica.

Cos’è il patch test 

Come spiega la dottoressa Lauriola: “Il patch test è un test diagnostico cosiddetto in vivo, indicato per identificare la causa in caso di:

  • sospetta allergia da contatto (DAC); 
  • malattie della pelle che possono presentare un’allergia secondaria;
  • alcune forme di reazioni avverse a farmaci (RAF).

Jozef Jadassohn (professore di dermatologia all’Università di Breslavia, ora Wroclaw, in Polonia) è il padre del patch test. Con la sua scoperta nel 1895, ha riconosciuto la possibilità che si verifichino reazioni eczematose in alcuni pazienti (sensibilizzati) quando le sostanze chimiche sono state applicate alla loro pelle. Bruno Bloch (Professore alle Università di Basilea e Zurigo) ha continuato e ampliato il lavoro clinico e sperimentale di Jadassohn. 

Oggi i patch test o test epicutanei sono una metodica standardizzata a livello nazionale ed internazionale e richiedono una specifica competenza nella lettura dei risultati. Hanno valore in ambito medico-legale e per il riconoscimento di patologie professionali”.  

Come funziona il patch test

“L’esecuzione del test consiste nell’applicazione sul dorso della persona delle sostanze sospette (apteni), opportunamente veicolate (in vaselina, acqua, etanolo…), preparate a determinate concentrazioni e posizionate in cellette fissate con cerotti (patch). I patch vengono generalmente tenuti per 48 ore prima della rimozione e delle letture”, afferma la dermatologa. 

Come si leggono i risultati

“Il gold standard per le letture è a 48 e 96 ore, ma la rimozione può essere effettuata anche a 72 ore, aspettando un’ora per la lettura. Alcuni apteni possono dare risposte particolarmente ritardate (acrilati, neomicina, lanolina, nichel…) e quindi può rendersi necessaria un’ulteriore lettura dopo 7 giorni

Una volta staccati i cerotti, il dermatologo valuta la comparsa di eventuale eritemi, edemi (gonfiori) e vescicolazioni per definire le reazioni positive e stabilirne il gradiente, da +, che sono reazioni dubbie, a +++, reazioni positive. 

Per discriminare le reazioni positive vere dalle falsamente positive (ad esempio eritemato-purpuriche, pustolose, etc.) e dalle reazioni di natura irritativa è necessaria una certa esperienza”, continua l’esperta. 

Gli apteni o sostanze sospette esaminati con il test

“Le serie di apteni (sostanze sospette) più significativi da testare vengono stabilite dalle società scientifiche e vengono poi continuamente aggiornate. Attualmente è possibile eseguire la serie standard europea stabilita dalla European Society of Contact Dermatitis (ESCD) ; ) e quella italiana, definita dalla Società italiana di Dermatologia allergologica professionale e ambientale (SIDAPA). Esistono poi diverse serie integrative che possono essere utilizzate come approfondimento diagnostico e in caso di precisi sospetti clinici”, chiarisce la specialista. 

Che cosa diagnostica: DAC e DIC

Il patch test, come già accennato, è lo strumento diagnostico per indagare in particolare la dermatite allergica da contatto (DAC), che grazie a questo esame può essere distinta dalla dermatite irritativa da contatto (DIC)

La dermatite allergica da contatto

“La dermatite allergica da contatto (DAC) è una dermatite infiammatoria comune sia in ambito extraprofessionale, sia professionale. Rappresenta infatti il 90% circa di tutte le dermatosi definite ‘occupazionali’ (ovvero legate alla professione). Questa patologia insorge per reazione allergica (immunomediata) a sensibilizzanti chimici o biologici

Nel caso della dermatite allergica da contatto, la risposta immunitaria agli agenti sensibilizzanti è di tipo ritardato o cellulo-mediata ed è determinata da una precedente esposizione del sistema immunitario all’allergene. Nel momento in cui la persona entra di nuovo in contatto con la sostanza alla quale è diventata sensibile, le cellule, linfociti T precedentemente sensibilizzati, si attivano, liberano mediatori (citochine) e reclutano le cellule infiammatorie, causando la tipica sintomatologia della dermatite allergica da contatto”, continua il medico. 

I sintomi della dermatite allergica da contatto

“Generalmente il disturbo si manifesta con vescicole puntiformi a contenuto sieroso sulle aree ‘a contatto’ con la sostanza responsabile, ma tende a diffondersi anche oltre – sottolinea ancora la dott.ssa Lauriola – . 

Le sedi più esposte ai sensibilizzanti sono mani, volto, collo, ascelle e piedi. Il sintomo principale è il prurito, ma nei casi gravi si può avere dolore fino ad arrivare all’impotenza funzionale

Si tratta di una condizione invalidante, soprattutto quando ad essere colpite sono le mani, con comparsa di ragadi e dolore che impediscono lo svolgimento di mansioni manuali e domestiche. 

Nell’eczema acuto, le vescicole a contenuto sieroso possono rompersi con fuoriuscita di essudato. Nelle forme croniche, prevalgono invece lichenificazione, ovvero ispessimento dell’epidermide che diventa dura e secca, e fissurazioni

Se non si individua la causa e si interviene con una terapia mirata, la dermatite allergica da contatto può recidivare, cronicizzarsi e andare incontro a complicanze (per esempio infettive)”. 

La dermatite irritativa da contatto (DIC)

“La dermatite allergica da contatto va distinta dalle forme a origine puramente irritativa, che possono dare quadri altrettanto seri di reazione infiammatoria cutanea che però derivano dal danno diretto di sostanze irritanti alla barriera cutanea. La reazione in questo caso non è immunomediata (motivo per il quale i patch test risultano negativi) ed è confinata alla sede di contatto. 

La dermatite irritativa da contatto (DIC) è più comune ed è frequentissima soprattutto in certi ambiti professionali, come l’edilizia, la meccanica o i cosiddetti ‘wet work’ (letteralmente ‘lavori bagnati’, ovvero spesso a contatto con acqua), come parrucchieri, casalinghe e coloro che lavorano nei negozi di alimentari”, osserva la specialista.

Allergie cutanee da nichel, profumi e conservanti 

I principali responsabili dell’allergia cutanea sono il nichel, i profumi e i conservanti, vediamoli nel dettaglio.

Allergia al Nichel

Il nichel è la principale causa di dermatite allergica da contatto e allergia ai metalli. Si tratta di un metallo spesso presente negli oggetti di uso quotidiano, accessori degli indumenti, bigiotteria, in particolare orecchini. Per questo motivo è un’allergia molto frequente nelle donne (fino al 31% della popolazione femminile può esserne interessata). 

Allergia ai profumi

Sono la causa più frequente di dermatite allergica da contatto da cosmetici. Nella popolazione generale la prevalenza è dell’1.9-3.5%, con un trend di sensibilizzazione in aumento anche in chi è affetto da dermatite atopica. 

I profumi si possono trovare spesso in:

  • cosmetici (creme, bagnoschiuma, shampoo…);
  • prodotti naturali (ad esempio, negli oli essenziali); 
  • detersivi e ammorbidenti;
  • additivi e igienizzanti. 

Poiché i profumi sono presenti ovunque, è possibile avere recidive della dermatite allergica da contatto dopo l’utilizzo di prodotti anche molto diversi (detersivi, insetticidi, piante e addirittura alimenti).

Allergia ai conservanti

Altri frequenti sensibilizzanti sono i conservanti, componenti dei cosmetici usati per prevenirne la contaminazione da parte di microorganismi. Tra questi i più frequentemente utilizzati ci sono:

  • Euxyl K 400, miscela di fenossietanolo (80%) e dibromodicianobutano (20%), di cui quest’ultimo è quello a più alto potere sensibilizzante.
  • Kathon CG, miscela di metilisotiazolinone e clorometilisotiazolinone, contenuti soprattutto in cosmetici, detersivi e ammorbidenti. Recentemente si è verificata una vera e propria ‘epidemia’ di reazioni allergiche, per cui attualmente il loro impiego come conservanti nei cosmetici è disciplinato in Europa e sono ammessi a basse concentrazioni unicamente nei prodotti a risciacquo (rinse off), mentre sono vietati per quelli non a risciacquo (leave on), come creme e latti detergenti.
  • Formaldeide, usata in campo industriale e considerata un allergene ubiquitario. Attualmente le normative europee ne limitano l’impiego esclusivamente nei prodotti a risciacquo e negli smalti per unghie (resine formaldeidiche). Un’altra fonte di sensibilizzazione importante sono i conservanti che liberano formaldeide (imidazolidinilurea, Quaternium15, diazolidinil urea, DMDM idantoina, bronopol). Questi possono essere presenti in cosmetici come creme per il viso, mascara, fondotinta, deodoranti, shampoo, balsamo per capelli, indurenti per le unghie, dentifrici e in medicamenti topici
  • Parabeni, classe di composti organici aromatici con funzione battericida e fungicida. Metilparabene, etilparabene, propilparabene e butilparabene sono i preservanti più comunemente impiegati in cosmetici, farmaci, nell’industria alimentare e in vari altri prodotti industriali. Tenendo conto dell’ampio utilizzo di parabeni nei cosmetici (90% dei prodotti leave on e 77% dei rinse off contengono parabeni), la frequenza di reazioni allergiche è rara, benché negli ultimi anni siano stati molto criminalizzati (rispetto ad altri conservanti).

Altri possibili agenti sensibilizzati

“Tra gli altri agenti sensibilizzanti ci sono poi gli altri metalli: cobalto e cromo oltre al nichel, ma anche quelli usati nell’implantologia orale come il palladio o nelle protesi ortopediche. 

Sempre più comuni sono anche le sensibilizzazioni alle tinture per capelli e agli acrilati delle unghie ricostruite. A questi si aggiungono le sensibilizzazioni ai coloranti dei tessuti sintetici, agli additivi delle gomme, alle materie plastiche, alle resine etc – aggiunge la dottoressa Lauriola – . 

Infine, attenzione agli estratti naturali o fitoestratti, che rientrano frequentemente nella composizione di profumi, cosmetici (lozioni, unguenti, creme) e farmaci topici e possono dare sensibilizzazioni, benché vengano generalmente considerati ‘innocui’”. 

Le controindicazioni al Patch test

“L’esecuzione del patch test è sconsigliata dopo terapia ultravioletta o recente esposizione solare intensa. 

Se i patch test vengono eseguiti durante i trattamenti immunosoppressivi (che proprio non possono essere sospesi), i risultati devono essere interpretati con riserva, per la possibilità di falsi negativi e, se possibile, vanno ripetuti dopo la fine della terapia. 

Altre situazioni in cui il patch test può non essere del tutto attendibile sono fasi attive o riacutizzazioni di dermatite allergica da contatto o di eczema atopico. Inoltre, la cute atopica si irrita molto facilmente, per cui possono esserci reazioni irritative o falsi positivi ai patch test (in genere con metalli, profumo, formaldeide e lanolina)” conclude la specialista.

Fonte: www.grupposandonato.it

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