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Malattie infiammatorie intestinali, individuato biomarcatore ‘guida’ per scelta farmaco

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Redazione 14 Aprile 2022
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Uno studio pubblicato su Cellular Molecular Gastroenterology and Hepatology dai gastroenterologi della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS-Università Cattolica e dai patologi dell’Università del Salento ha permesso di identificare un biomarcatore ‘guida’ per la scelta del farmaco biologico per contrastare le malattie infiammatorie intestinali.

Molti dei pazienti con malattie infiammatorie intestinali (IBD) che non rispondono alla terapia con inibitori del TNF (fattore di necrosi tumorale), presentano elevati livelli di IL-1 beta, un biomarcatore che rappresenta una delle ‘strade’ molecolari percorse dall’infiammazione e che in questa categoria di pazienti potrebbe fungere da marcatore di ‘mancata risposta’ agli anti-TNF. La possibilità di stratificare i pazienti in base al loro assetto infiammatorio consentirà in futuro di assegnare loro il biologico più efficace per la loro particolare forma infiammatoria, in un’ottica di medicina di precisione. Uno studio appena pubblicato su Cellular Molecular Gastroenterology and Hepatology dai gastroenterologi della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS-Università Cattolica e dai patologi dell’Università del Salento apre la strada a questo approccio.

La malattie infiammatorie intestinali

Sono almeno 250 mila gli italiani affetti da una malattia infiammatoria intestinale (IBD) in Italia, equamente distribuiti tra rettocolite ulcerosa (RCU) e malattia di Crohn. Patologie impegnative per le quali però i pazienti possono contare su tante diverse terapie. Le IBD sono malattie autoimmuni croniche a forte componente infiammatoria che, lasciate senza una terapia adeguata possono portare ad una serie di conseguenze importanti (stenosi intestinali, fistole, ecc). Per questo è molto importante la diagnosi precoce seguita da un trattamento tempestivo. Per le forme più importanti, un’arma formidabile è rappresentata dai farmaci ‘biologici’, ai quali approda nel corso della vita il 40-50% di questi pazienti; i primi introdotti in terapia sono gli anti-TNF (fattore di necrosi tumorale). Ma il 20-40% dei pazienti non risponde a queste terapie o smette di rispondere dopo un breve periodo. Questo perché non tutte le infiammazioni sono ‘uguali’; c’è infiammazione e infiammazione e ogni forma è sostenuta da una via molecolare specifica. In particolare, la presenza di pazienti affetti da RCU con meccanismi infiammatori indipendenti dall’azione del TNF-alfa spiegherebbe l’inefficacia della somministrazione di farmaci anti-TNF in questa categoria di soggetti.

Lo studio del Gemelli

Finora non c’era modo di prevedere quali pazienti sono in grado di rispondere agli inibitori del TNF alfa e chi i ‘non responder’. Ma uno studio coordinato dal dottor Loris Lopetuso, Gastroenterologo del team del professor Antonio Gasbarrini, direttore UOC Medicina Interna e Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e dal dottor Marcello Chieppa, Ricercatore presso l’Università del Salento, appena pubblicato sulla rivista scientifica Cellular Molecular Gastroenterology and Hepatology suggerisce un modo per individuare da subito i pazienti che hanno scarse possibilità di risposta agli inibitori del TNF alfa, per ‘dirottarli’ dunque subito su un altro biologico. “Utilizzando un approccio combinato tra analisi cliniche e modelli sperimentali – spiega il dottor Lopetuso – i risultati dello studio hanno individuato una sottopopolazione di non responder agli anti-TNF, caratterizzati da alti livelli di interleuchina 1 beta (IL-1β), una proteina infiammatoria estremamente potente. Nella seconda parte dello studio è stato utilizzato un modello animale (topo) di rettocolite ulcerosa TNF-indipendente; il gruppo di ricerca (che ha coinvolto centri di ricerca in Italia e negli USA), ha valutato la possibilità di bloccare la cascata infiammatoria dell’IL-1β utilizzando un biologico anti-interleuchina-1 (Anakinra), documentando una buona risposta degli animali al trattamento (riduzione dello stato infiammatorio intestinale e dei livelli di cellule infiammatorie intestinali).

Al momento l’anakinra non ha ancora l’indicazione al trattamento per l’IBD nell’uomo. Ma l’esperimento ha dimostrato che nelle forme di IBD caratterizzate da elevati livelli di IL-1 beta nel sangue, il farmaco funziona (almeno nel modello animale). “Abbiamo comunque già a disposizione – afferma il dottor Lopetuso – una serie di terapie biologiche alternative agli anti-TNF, quali gli anti-integrina, gli anti-JAK e gli anti IL 12/23. Questo studio è una proof of concept della possibilità di stratificare i pazienti con IBD in base al loro profilo infiammatorio. Non tutte le forme infiammatorie sono evidentemente sostenute dalle stesse vie infiammatorie e alcuni pazienti hanno un’IBD ‘indipendente’ dal TNF-alfa. Saperlo prima di avviare un trattamento con anti-TNF alfa evita di perdere tempo terapeutico prezioso e risparmia al paziente (e ai budget della sanità) un farmaco inutile”. In un’ottica di medicina di precisione sarebbe dunque utile individuare una serie di biomarcatori di risposta (o meno) al trattamento per indirizzare a colpo sicuro il paziente verso un biologico, piuttosto che un altro.

“Il nostro studio – conclude il professor Antonio Gasbarrini, – Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica – dimostra l’importanza di ricercare fattori predittivi di risposta alla terapia biologica e fa segnare un passo avanti nella direzione della medicina personalizzata e di precisione”.

Fonte: www.policlinicogemelli.it

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