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Approfondimenti Medicina

Daltonismo o discromatopsia nei bambini, che fare?

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Francesca 27 Aprile 2023
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Daltonismo, discromatopsia e bambini: come capire se nostro figlio è daltonico e, nel caso, cosa fare?

Immaginate di vedere il vostro bambino giocare con dei pastelli colorati. Il suo quadernetto è un tripudio di schizzi colorati: linee rosse, cerchi verdi… Tante figure geometriche sovrapposte tra loro. Eppure, non appena gli si chiede di prendere in mano un colore specifico come il rosso, il suo sguardo passa dall’essere divertito al disorientato. A quel punto, un dubbio sorge all’improvviso… Che mio figlio possa soffrire di daltonismo?

Daltonismo e discromatopsia nei bambini: cosa fare?

Nonostante il termine faccia ormai parte del gergo comune per indicare una specifica anomalia percettiva, da un punto di vista medico la definizione non è accurata.

La difficoltà a riconoscere un determinato gruppo di colori prende, infatti, un altro nome: discromatopsia.  

Quindi perché si usa dire “daltonismo” invece di discromatopsie congenite?
Non solo perché il nome deriva da John Dalton, chimico e fisico inglese che ne era affetto e che per primo lo descrisse nel 1794, ma anche perché, in realtà, con il termine si intende una generica alterata percezione dei colori. Dopodiché l’alterazione viene sottoclassificata in base alla gravità del difetto e prende il nome di discromatopsia.

Quando le discromatopsie sono ereditarie significa che sono dovute a delle alterazioni del cromosoma X. Questo vuol dire che la trasmissione del disturbo dipende dalla mamma, ma poi sono soprattutto gli uomini a soffrirne.
Tuttavia, oltre a quelle ereditarie, esistono anche delle forme di discromatopsia acquisite: alcune tra le cause più frequenti dell’insorgenza della patologia sono le malattie della macula, ovvero la porzione centrale della retina, che possono causare un’alterazione dei fotorecettori responsabili della percezione del colore. 

Dunque, cosa vedono (o meglio, non vedono) le persone con discromatopsia? Dipende dai “coni”. Sì, perché le speciali cellule che ci consentono la percezione dei colori si chiamano coni. Questi fotorecettori si trovano principalmente nella macula e, a seconda del colore che percepiscono, sono di tre tipi: rosso, verde e blu.
Nel caso in cui fosse presente uno solo di questi fotorecettori, la visione è ridotta a una sola dimensione di colore e parliamo quindi di “discromatopsia congenita monocromatica”.
Se invece abbiamo 2 coni su 3, siamo in presenza di una “discromatopsia congenita discromatica” e chi ne è affetto non è in grado di vedere il colore associato al fotorecettore mancante.
Infine, se sono presenti tutti i tre i coni, ma hanno una funzionalità alterata, parliamo di “discromatopsia congenita tricomatrica”, che è la forma più diffusa, e di conseguenza ci possono essere dei problemi a riconoscere il colore verde, oppure lo si confonde con il rosso o con il blu.
Molto più rara invece è l’assoluta mancanza di percezione dei colori, definita acromatopsia. Chi ne è affetto non è in grado di osservare alcun colore (rosso, verde e blu) e, dunque, ha una visione monocromatica in bianco e nero.

Spesso chi soffre di difficoltà ereditarie della percezione non ne è subito consapevole, magari scopre il problema per caso dopo molti anni. Per diagnosticare questi difetti vengono utilizzati soprattutto due test: il test di Ishihara e il test di Famsworth. Il primo si compone di 21 tavole con tanti punti colorati raggruppati tra loro con due pigmenti di intensità variabile.
La differenza cromatica permette ad un occhio sano di intravedere dei numeri, impossibili da distinguere per chi invece soffre di un’anomalia percettiva. Se da una parte questo test è estremamente valido per ciò che concerne l’individuazione della discromatopsia, dall’altra il test di Famsworth è fondamentale per determinarne la gravità. In questo caso, infatti, vengono presentati al paziente diversi dischi che devono essere ordinati secondo il colore e la tonalità.

Dopo la diagnosi che che si fa?

Sebbene la presenza di un difetto nella percezione dei colori possa destare preoccupazione, in realtà non si tratta di una patologia invalidante. Inoltre, chi soffre di questa condizione diventa presto in grado di associare il nome del colore effettivo a ciò che viene soggettivamente percepito, anche grazie all’aiuto dei genitori, i quali possono scegliere di etichettare quei colori che creano maggiore confusione. A ciò si aggiunge il progresso tecnologico che ha portato alla creazione di lenti specifiche per le discromatopsie rosso-verde che migliorano la percezione dei colori e consentono un’esperienza più ricca del mondo. In conclusione, non c’è nulla da temere: anche con una discromatopsia congenita è possibile avere una vita piena e indipendente.

Fonte: www.ospedaleniguarda.it

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