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Angina pectoris: cos’è e come si cura

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Redazione 4 Ottobre 2021
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L’angina pectoris può essere espressione di un restringimento delle coronarie e campanello d’allarme di un infarto del miocardio: la dottoressa Valentina Mantovani, cardiologa dell’unità di Cardiologia Clinica dell’IRCCS Policlinico San Donato, spiega cos’è, quali sono le cause, quali accertamenti è opportuno effettuare per definire l’entità del problema e come si cura.

L’angina pectoris è una sindrome che, come indicano le parole latine, si manifesta con un dolore oppressivo al petto o irradiato lungo la schiena, il braccio sinistro, il collo e la mandibola

A questo si possono associare una serie di reazioni neurovegetative, come sudorazione fredda e nausea.

Le cause 

Il dolore al torace, ovvero l’angina pectoris, deriva da un ridotto apporto di sangue e ossigeno al cuore, nella maggioranza dei casi dovuto a un restringimento di una o più arterie coronarie (i vasi arteriosi che portano sangue e nutrimento al cuore). 

Queste stenosi, significative quando superano il 70% del vaso sanguigno, sono causate dall’aterosclerosi, ovvero dall’accumulo di lipidi all’interno delle pareti delle arterie coronarie.

L’angina stabile e instabile

Sono due le principali tipologie di angina pectoris che possono manifestarsi: 

  • angina stabile: avviene quando un paziente, che presenta una stenosi (restringimento) significativa di una delle coronarie, cammina, corre o fa uno sforzo, quindi quando aumenta la richiesta di ossigeno da parte del cuore;  
  • angina instabile: sintomatologia che esordisce a riposo, oppure per sforzi via via più lievi. Questa è una condizione clinica più grave, che richiede un intervento più urgente rispetto all’angina stabile. 

Quando preoccuparsi 

L’angina pectoris può portare all’infarto del miocardio, cioè alla morte di una parte del tessuto cardiaco dovuto al nullo o eccessivamente basso apporto di sangue in quell’area. 

Il dolore toracico è un sintomo che deve sempre metterci in allerta, in modo particolare nelle persone più a rischio: uomini (colpiti maggiormente rispetto alle donne, che comunque non sono esenti), di mezza età o età avanzata, che presentano i principali fattori di rischio:

  • ipertensione;
  • alti livelli di colesterolo; 
  • diabete;
  • familiarità per cardiopatia ischemica (familiari di primo grado che hanno avuto infarti o malattie cardiache in giovane età);
  • fumo di sigaretta;
  • sovrappeso.

Cosa fare in caso di infarto

I pazienti che presentano uno o più fattori di rischio e manifestano dolore toracico di tipo oppressivo, centrale nel petto, magari irradiato e associato a sudorazione algida, devono chiamare il medico di famiglia e, nel caso di dolore persistente e prolungatocontattare il 118.

In questo modo si attiva la cosiddetta rete dell’infarto, un processo che consente: 

  • una prima diagnosi direttamente a casa del paziente
  • l’esecuzione di un ECG spedito alle unità coronariche del territorio, allertate per la realizzazione, in tempi brevissimi, di un’angioplastica primaria per rivascolarizzare l’arteria ostruita. 

Gli accertamenti diagnostici 

Chi ha avuto episodi di dolore toracico deve riferirlo al medico di base, che potrà prescrivere una visita cardiologica. Gli accertamenti consigliati sono:

  • ECG a riposo;
  • ecocardiogramma (ecografia del cuore);
  • test provocativo, come la prova da sforzo.

Attraverso questi esami si cercano eventuali segni indiretti di ischemia cardiaca, rappresentati da specifiche alterazioni dell’elettrocardiogramma o dell’ecografia.  

Gli esami di secondo livello

Nel caso in cui la prova da sforzo dia un risultato dubbio o non dirimente, esistono esami di secondo livello, come: 

  • scintigrafia miocardica, per studiare la funzionalità cardiaca, con somministrazione di un radio-farmaco;
  • risonanza magnetica cardiaca da stress (con iniezione di farmaco e mezzo di contrasto);
  • coronaroTAC, un esame tomografico che valuta la parte anatomica, utile per vedere restringimento delle coronarie.

Se uno di questi esami dà esito positivo, si procede sottoponendo il paziente alla coronarografia, il gold standard per individuare il restringimento delle arterie coronarie. 

Le cure

Quando c’è diagnosi di insufficienza coronarica si deve iniziare una terapia medica composta da farmaci antiaggreganti, beta-bloccanti, ACE-inibitori e statine e, quindi, in base al quadro clinico, procedere con un intervento di cardiologia interventistica ed eventualmente di cardiochirurgia. 

Attraverso la procedura di cardiologia interventistica, la coronarografia, è possibile verificare se le coronarie sono pervie: si tratta di un esame mininvasivo che prevede l’inserimento di un catetere attraverso l’arteria radiale o femorale e, iniettando un mezzo di contrasto, valutare eventuali restringimenti

L’angioplastica e lo stent 

In base al numero e alla posizione, si può decidere di trattarli nella stessa procedura, attraverso la dilatazione del vaso con un palloncino, l’angioplastica, e l’applicazione di uno stent, una reticella metallica medicata con dei farmaci che tendono a ostacolare l’iperproliferazione dell’endotelio vascolare. 

Il by-pass

Nei pazienti in cui la malattia è molto estesa e coinvolge più rami coronarici, o l’anatomia è poco favorevole al trattamento percutaneo, si ricorre all’intervento chirurgico per realizzare un by-pass, un condotto creato con il prelievo della vena safena o l’utilizzo dell’arteria mammaria del paziente. 

L’infarto silente 

L’angina pectoris rientra tra i sintomi pre-infartuali, ma esistono anche casi in cui l’infarto avviene in modo asintomatico. Si tratta dei cosiddetti infarti silenti, quelli che vengono rilevati a posteriori: durante un controllo occasionale, o per un affaticamento respiratorio, si scopre una cicatrice sul cuore, segno di una coronaria che si è chiusa in precedenza, senza sintomi. Questo caso è più frequente nei pazienti diabetici, che spesso non avvertono il dolore cardiaco. 

La prevenzione

La malattia aterosclerotica è una malattia dall’andamento progressivo, che non torna mai indietro: o viene stabilizzata o, nel tempo, tenderà a progredire. 

È fondamentale quindi prestare molta attenzione allo stile di vita e al trattamento dei fattori di rischio, che devono essere tenuti bene a mente nella gestione della terapia:

  • ridurre il peso corporeo;
  • fare attività fisica aerobica, di grado moderato;
  • assumere regolarmente la terapia prescritta;
  • astenersi totalmente dal fumo;
  • trattare accuratamente il diabete.

Fonte: www.grupposandonato.it

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