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Besta, malattie mitocondriali: studi per indagarne i meccanismi di attivazione

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Francesca 14 Dicembre 2023
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Sono rivolti al miglioramento della diagnosi e allo studio dell’andamento delle malattie mitocondriali gli studi proposti dal professor Daniele Ghezzi dell’Università degli studi di Milano, in convenzione col Carlo Besta dove svolge attività di ricerca presso l’Unità di Genetica Medica e Neurogenetica, vincitori dei bandi PNRR – Missione 6 Salute e di ricerca finalizzata.

Besta, malattie mitocondriali: studi per indagarne i meccanismi di attivazione

I fondi PRNN sono stati assegnati allo studio “Multi-omics for primary mitochondrial myopathies: deep genetic investigations to optimize diagnosis and prognosis and to elucidate the associated pathomechanisms (MitoMyOmics)”. Co-PI è la dottoressa Costanza Lamperti del Servizio di Medicina di Laboratorio – Genetica Medica e Neurogenetica del Besta; partecipa per il nostro Istituto il dottor Andrea Legati e sono partner del progetto la Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, l’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna e l’Università degli studi di Bari.

Il progetto MitoMyOmics si concentra sullo sfruttamento delle tecnologie omiche e della bioinformatica per migliorare la diagnosi dei casi di miopatie mitocondriali primarie irrisolte che colpiscono, negli adulti, prevalentemente, ma non esclusivamente, il muscolo scheletrico –  spiega il professor Ghezzi –Nel dettaglio, viene eseguito il sequenziamento dell’RNA ottenuta da biopsia muscolare del paziente e vengono valutate le potenzialità del sequenziamento dell’intero genoma; vengono poi sviluppati dalla Casa della Sofferenza di San Giovanni Rotondo gli strumenti bioinformatici per la valutazione delle varianti di mtDNA e nDNA e le loro interazioni. L’obiettivo, insieme agli altri partner del progetto, è analizzare i risultati e trovare i dettagli dei meccanismi responsabili della malattia, oltre a incrementare la diagnosi genetica per queste patologie così clinicamente complesse”.

La ricerca finalizzata, guidata dal professor Ghezzi e dal titolo “A mitosignature for personalized medicine: mitochondrial biomarkers to improve diagnosis and prognosis in mitochondrial disease patients in a clinical trial perspective – MITOSIGN, ha tre obiettivi principali: “In primis migliorare la categorizzazione dei pazienti con disordini mitocondriali primari e che hanno già una diagnosi certa di malattia ma con manifestazioni di diverso tipo, definire affidabili biomarcatori circolanti e capire meglio dal punto di vista diagnostico e prognostico come si sviluppano e si manifestano le malattie mitocondriali; identificare possibili firme (epi)genetiche che riflettono la malattia – aggiunge Ghezzi-. Le cure e i trattamenti attua lmente sono pochi e per poche malattie ma negli ultimi anni sono in corso diversi trial per valutare tutti i fenomeni e trovare questi biomarcatori”.

Poi specifica: “Nel corso del progetto viene raccolto il plasma dei pazienti durante le visite e tutte le informazioni, dal punto di vista clinico, sul decorso della malattia vengono importate in un registro nazionale dedicato. Lo scopo è indagare all’interno del plasma se ci sono molecole (biomarcatori) presenti in malattie mitocondriali oppure no e, attraverso l’analisi genetica, capire se ci sono fattori protettivi o predisponenti a essere più grave”.

La parte clinica del progetto viene svolta dalla dottoressa Costanza Lamperti, Co-PI anche di questo progetto, a cui collabora la professoressa Serenella Servidei della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma e il professor Michelangelo Mancuso dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana che è il coordinator del registro italiano “Mitocon” dei pazienti con malattie mitocondriali. Il dottor Daniele Sala, del nostro istituto, è il giovane ricercatore che si occupa delle analisi di laboratorio.

 “Le nuove scoperte potrebbero essere determinanti per identificare l’esatta diagnosi nei pazienti e questo migliora la consulenza genetica per le famiglie e può portare anche alla diagnosi prenatale”, conclude Ghezzi.

Fonte: www.istituto-besta.it

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