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Medicina rigenerativa, il progetto per curare la porpora trombocitopenica

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Redazione 11 Gennaio 2022
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Elena Romano, giovane ricercatrice del Dipartimento di Medicina Molecolare, Laboratorio di Terapia Genica e Riprogrammazione Cellulare dell’Istituto Mario Negri di Milano, ha ricevuto un importante riconoscimento dalla Fondazione Roche che le darà la possibilità di portare avanti il suo progetto di ricerca: si tratta di un progetto, basato sulla medicina rigenerativa, per curare la porpora trombotica trombocitopenica.

Quali sono i requisiti per ricevere un finanziamento di questa importanza?

Il bando ha come obiettivo principale quello di sostenere la ricerca indipendente di giovani scienziati che siano responsabili diretti del Progetto di Ricerca (PI, Principal Investigator) e che siano under 40. Inoltre, il ricercatore che si propone deve dimostrare di avere un curriculum che attesti la sua capacità di eseguire gli studi presentati nel progetto.

Il bando della Fondazione Roche mira a finanziare progetti innovativi, in grado di migliorare la salute e il benessere dei pazienti in diverse aree ad alto bisogno.

Il progetto di ricerca con medicina rigenerativa per il trattamento della porpora trombotica trombocitopenica (PTT)

Il progetto, chiamato CELL-BASED SYSTEM AS A NEW THERAPEUTIC APPROACH FOR CONGENITAL THROMBOTIC THROMBOCYTOPENIC PURPURA, è risultato vincitore nell’area malattie ereditarie della coagulazione. L’obiettivo è di sviluppare un nuovo approccio terapeutico per curare la forma congenita della porpora trombotica trombocitopenica, una coagulopatia estremamente rara. La causa è da attribuire a mutazioni nel gene che codifica per la proteina ADAMTS13, prodotta dalle cellule del fegato. Questa proteina è implicata nel processo di coagulazione del sangue. La sua carenza porta alla formazione di trombi nei piccoli vasi sanguigni che irrorano molti organi, tra cui il cervello, il cuore e il rene, compromettendone la loro funzionalità.

Il progetto prevede la generazione di cellule staminali pluripotenti indotte ipoimmunogeniche (ipo-iPSC), ovvero invisibili al sistema immunitario del paziente. Le cellule ipo-iPSC saranno stimolate al fine di diventare (o in gergo differenziare) specifici tipi di cellule capaci di generare un mini-fegato in laboratorio. La nostra ipotesi è che questi tessuti, una volta trapiantati, siano in grado di rilasciare in circolo livelli terapeutici di proteina ADAMTS13 funzionante, proteggendo il paziente da eventuali ricadute.

Medicina rigenerativa e porpora trombotica trombocitopenica (PTT): perchè lo studio è innovativo?

Il primo aspetto innovativo è che il nostro progetto si basa sulla medicina rigenerativa, sfruttando la tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Questa tipologia di cellule staminali viene ottenuta a partire da cellule adulte, come le cellule del sangue o della pelle, trattate in laboratorio in modo da farle “tornare indietro” nel tempo a quando erano cellule staminali in grado di trasformarsi successivamente in qualsiasi tipo di cellula specializzata. Inoltre, queste cellule saranno modificate in modo da renderle ipoimmunogeniche, ossia invisibili al nostro sistema immunitario per evitare il rigetto. Partendo da cellule di un soggetto sano, questo processo permetterà di rendere questa terapia universale, utilizzabile in tempi rapidi per tutti i pazienti indipendentemente dal loro specifico difetto genetico.

Un altro aspetto innovativo è che queste cellule terapeutiche saranno trapiantate sotto forma di un mini-organo tridimensionale, fatto di cellule tipiche del fegato con in più la capacità di funzionare da fabbrica interna per la produzione della proteina ADAMTS13.

Raccontaci la tua giornata tipo in laboratorio

È un lavoro che non ha orari: la mente di un ricercatore non smette mai di pensare a come condurre la sua ricerca, a come migliorare un esperimento o di pensare se i risultati saranno quelli attesi.

Ogni giorno ci sono cellule da tenere in coltura, esperimenti da programmare e da portare avanti e poi puoi avere una riunione improvvisa, un progetto da scrivere, un articolo da pubblicare a breve. Si passano poi ore e ore a studiare per trovare soluzioni, per avere idee e per stare al passo con le ricerche degli altri. La pausa caffè certamente non può mancare per parlare con i colleghi e magari scambiarsi idee e suggerimenti o semplicemente per “oliare” i meccanismi del cervello. È un lavoro in cui non c’è routine e questo lo rende ancora più stimolante.

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca? Che cosa rappresenta per te lavorare al Mario Negri?

Il motore che spinge tutti i ricercatori è sempre la passione ed è stato così anche per me. Se senti quell’impulso è difficile non seguire quella strada, anche se sai che richiede tanto impegno, studio e sacrifici. Lavorare al Mario Negri mi ha permesso di migliorare ulteriormente la mia formazione, acquisendo nuove conoscenze su tecniche innovative e all’avanguardia.

Dove ti vedi fra dieci anni?

Ricerca e precarietà è un binomio ormai conosciuto. Purtroppo chi fa questo mestiere è abituato a scadenze, incertezze e a fare progetti a breve termine. Posso dire dove mi auguro o spero di essere e la mia risposta ovviamente è di continuare a lavorare nel mondo della ricerca, con lo stesso entusiasmo e la stessa determinazione di adesso.

Se non avessi scelto di fare la ricercatrice, cosa avresti fatto?

Per tutto il periodo del liceo ho continuato a dire che volevo fare il giudice minorile, poi al momento della scelta universitaria ho sentito una spinta diversa dentro di me e adesso eccomi qui, non in toga ma in camice.

Chi è Elena nel tempo libero?

Sono una persona curiosa, amante della natura, dell’arte e del buon cibo. Per cui nel tempo libero mi piace fare trekking in montagna, passeggiare tra i boschi o visitare posti nuovi. Mi piace molto cucinare e provare cibi nuovi, per cui mi diletto a “sperimentare” anche ai fornelli.

Fonte: www.marionegri.it

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