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Dialisi: capire il metodo più giusto per tutti

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Redazione 20 Febbraio 2017
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Sono in pochi a sapere che la dialisi può essere eseguita anche in ambiente domestico. Ne parliamo con il dottor Renzo Scanziani, per molti anni primario del reparto di Nefrologia dell’ospedale di Desio (MB). 

Dottor Scanziani, lei ha diretto a lungo un reparto di Nefrologia all’avanguardia come quello dell’ospedale di Desio. Cosa è cambiato negli anni rispetto alla dialisi? 

A cambiare, innanzitutto, è stata la tipologia di pazienti. La popolazione è invecchiata, e così anche i pazienti in trattamento dialitico. Trent’anni fa la maggioranza dei pazienti aveva meno di 60 anni, ed erano rari quelli oltre gli 80. La situazione oggi è profondamente diversa, ed è un fenomeno che non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo occidentale. Nel 2007 il 33% dei pazienti in Europa (in Italia il 41%) aveva più di 75 anni. Sono cambiate anche le cause più frequenti di insufficienza renale terminale: in questi anni si è assistito a un aumento della nefropatia diabetica, che in Italia è la seconda/terza causa con una percentuale del 17% di pazienti che iniziano il trattamento sostitutivo e sono diabetici. In altri paesi la percentuale varia dal 15% dell’Olanda al 24-25% di Germania e Svezia, per arrivare a oltre il 40% negli Stati Uniti. Questo incremento dipende in primo luogo dall’aumento dell’età media della popolazione e dai miglioramenti terapeutici che hanno aumentato la sopravvivenza dei pazienti diabetici; ma, come evidenziano le differenti percentuali tra i vari paesi, anche da questioni legate, in primo luogo, agli stili di vita, alle abitudini alimentari, a fattori dietetici (diete sbilanciate e ipercaloriche), senza contare i fattori genetici.

Come potremmo descrivere la qualità della vita del paziente in dialisi nel 2017?

Premetto che gli studi sociologici sulla qualità della vita del paziente in trattamento sostitutivo sono recenti, e risalgono al massimo a una quindicina d’anni fa. Quello che emerge da questi lavori è che i fattori che influenzano maggiormente la qualità della vita sono l’età e le comorbilità, cioè la presenza di altre patologie oltre all’insufficienza renale. Generalizzando, il paziente giovane ha sempre sopportato meglio il trattamento dialitico mentre la persona anziana sottoposta a emodialisi spesso presentava spossatezza e anoressia che ne pregiudicavano la qualità della vita. Oggi, fortunatamente, questi sintomi sono meno frequenti e più contenuti grazie alle innovazioni introdotte nel trattamento sostitutivo.

Intende dire grazie ai miglioramenti tecnologici? 

Si. I progressi tecnologici (l’uso del bicarbonato, il controllo dell’ultrafiltrazione, le tecniche di emofiltrazione) hanno reso la seduta dialitica più tollerabile anche per pazienti molto “delicati”. Oggi, più che in passato, si riesce a profilare meglio l’ultrafiltrazione e la rimozione di sodio, per cui la seduta dialitica è molto più controllata e meno frequente è l’instabilità vascolare che spesso nei pazienti più “delicati” si manifesta con episodi ipotensivi anche gravi.

La dialisi, in un paziente giovane, è compatibile con l’attività lavorativa? 

Certamente sì. A questo proposito è importante sapere che i pazienti hanno la possibilità di scegliere tra emodialisi e dialisi peritoneale. La scelta può dipendere dal tipo di malattia, e questo normalmente è un compito che spetta al medico, ma anche dalle preferenze del paziente e dall’esperienza dei vari centri dialitici. L’emodialisi è più diffusa ed è disponibile in tutti i centri, mentre la peritoneale riguarda un numero minore di pazienti (in Italia circa il 10% del totale, pari a circa 4.000 persone, ndr).

Quali sono le differenze tra i due trattamenti? 

L’emodialisi prevede un circuito extracorporeo: il sangue viene estratto dal paziente, filtrato e reinfuso. Viene utilizzata una membrana artificiale dentro un filtro all’interno del quale il sangue del paziente viene a contatto con un liquido di dialisi e restituito al paziente depurato delle sostanze tossiche che il rene malato non può eliminare. 
Nella dialisi peritoneale, invece, la funzione di filtro è esercitata dal peritoneo, una membrana con specifiche caratteristiche di permeabilità che ricopre sia l’interno della parete dell’addome che gli organi ivi contenuti. All’interno dello spazio virtuale tra i due foglietti viene introdotto del liquido di dialisi. Per fare entrare e uscire il liquido nella cavità peritoneale viene applicato un piccolo catetere di plastica. 
Nel caso dell’emodialisi, parliamo di un trattamento intermittente che dura tra le quattro e le cinque ore e viene effettuato tre volte la settimana in ospedale. La peritoneale, invece, è un trattamento continuo nell’arco delle 24 ore e si effettua, di norma, a casa, dopo un addestramento eseguito in reparto. E’ possibile un trattamento diurno, con metodica manuale (CAPD) o notturno con metodica automatizzata (APD). Il paziente, in sostanza, provvede in maniera autonoma a caricare manualmente il liquido di dialisi, normalmente due o tre litri, in addome attraverso il catetere, ed a scaricarlo dopo quattro-cinque ore durante il giorno. Nella metodica automatizzata gli scambi vengono effettuati mentre il paziente dorme con l’aiuto di una macchina (cycler). Il paziente si collega all’apparecchiatura prima di coricarsi e si disconnette al risveglio al termine del trattamento, con durata di circa 8-10 ore.

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E dal punto di vista dei risultati?

La letteratura ha individuato le differenti tipologie di paziente per cui è più indicata l’una o l’altra tecnica. Possiamo dire che, normalmente, noi insistiamo perché i pazienti giovani facciano la peritoneale, che garantisce lo stesso risultato senza la necessità di recarsi in ospedale. In particolare, chi esegue la dialisi peritoneale automatizzata è libero tutto il giorno.

Qual è la tendenza, attualmente?

Sulla base della mia esperienza posso dirle che fino a qualche anno fa era più facile ottenere da parte dei pazienti l’accesso al trattamento domiciliare; adesso facciamo più fatica. Sebbene la dialisi peritoneale sia stata introdotta alla fine degli anni ’70 (a Desio abbiamo cominciato nel ‘79) come trattamento sostitutivo, ha una presenza differente tra i diversi centri di dialisi. In alcune regioni italiane è più diffusa, in altre è meno presente. Certo, la diversa esperienza può fare la differenza anche nell’approccio alla scelta del trattamento sostitutivo. Ma c’è anche un altro fattore.

Quale? 

La verità è che molti pazienti, soprattutto quelli anziani, preferiscono venire qui in ospedale. C’è la paura di assumersi la responsabilità di effettuare la terapia, certo; ma c’è anche il fatto che molti di loro sono soli, e qui trovano compagnia, un ambiente amichevole. Diciamo pure che è l’occasione per scambiare quattro chiacchiere e fare un po’ di vita sociale. Quando si è soli si sente il bisogno di vedere qualcuno, e anche un trattamento come quello dialitico rappresenta una possibilità, in questo senso.

L’aspetto psicologico conta molto, vero? 

Si. I pazienti apprezzano il fatto di venire in ospedale a fare la dialisi perché durante il trattamento parlano con gli altri pazienti, con le infermiere, con i medici, con i volontari ospedalieri.

E qual è, invece, la tipologia, di chi sceglie l’alternativa “domestica”?

Dagli studi condotti emerge una differenza: i pazienti che scelgono la peritoneale sono tendenzialmente quelli più autonomi, quelli che accettano meglio la malattia. Sono più decisi, ottimisti, hanno un atteggiamento più positivo, forse anche perché spesso non vivono soli, e per questo aderiscono meglio alla terapia. Del resto, è chiaro che un paziente consapevole segue meglio i consigli, a partire da quelli alimentari, e ha una prospettiva di vita migliore. La percentuale di pazienti in peritoneale che dicono di stare bene è più alta rispetto a quelli in emodialisi, per la migliore percezione che hanno di se stessi. Sono pazienti che si assumono la responsabilità della propria salute, non demandano tutto ai medici, e questo aiuta nel percorso.

Per concludere, la dialisi è il punto di arrivo di una patologia che comincia ben prima. Si può pensare di intervenire in anticipo a livello di politica sanitaria? 

Certo. Gli ambulatori nefrologici pre-dialisi sono ormai una realtà e permettono di posticipare l’inizio del trattamento. In pratica, il paziente viene seguito dal reparto di Nefrologia che ha fatto la diagnosi anche per molti anni prima di arrivare al trattamento sostitutivo. Il fatto di “abituare” il paziente alla malattia, poi, consente di arrivare più facilmente a proporre anche un trattamento di dialisi peritoneale. Non c’è dubbio che quella di prendere in carico il paziente nelle fasi iniziali della malattia sia la strada da percorrere.

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