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Ricerca di base: il motore dietro al progresso dell’umanità

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Vittorio Fontanesi 2 Maggio 2017
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Pur nascendo quasi sempre senza un fine pratico o applicativo – e forse proprio per questo – la ricerca di base, o pura, è alla base di gran parte delle più importanti scoperte scientifiche. Ne parliamo con il Prof. Gianfranco Pacchioni, Pro-Rettore alla ricerca dell’Università di Milano Bicocca.

-L’Università degli studi di Milano Bicocca si sta sempre più imponendo nel panorama italiano ed europeo come polo aggregato di insegnamento, ricerca e innovazione. Lei ha vissuto in prima persona lo sviluppo dell’Ateneo fin dal 1994: guardandosi indietro, cosa ricorda con più piacere?

I tempi “eroici” di quando abbiamo fondato il Dipartimento di Scienza dei Materiali, insieme a quello di Scienze Ambientali e di Biotecnologie i primi a essere creati in Bicocca. Venivamo da esperienze diverse, con storie diverse, chimici e fisici e persino qualche matematico, teorici e sperimentali, e volevamo creare il primo Dipartimento in Italia sul tema davvero interdisciplinare dei materiali avanzati. La zona era un’immensa area dismessa, mancava tutto, dai trasporti ai bar, ma lo spirito pionieristico, la motivazione personale, e l’idea di creare da zero una nuova università facevano superare problemi e difficoltà pratiche che oggi sembrerebbero insormontabili. In quella occasione ho imparato che mettersi in gioco, dover costruire qualcosa praticamente partendo dal nulla è una sfida molto eccitante, e se viene vinta anche molto gratificante.

-Prof. Pacchioni, Lei ha fondato il suo percorso accademico sulla ricerca. La società attuale richiede ritorni dagli investimenti in tempi brevi: quanto incide questa condizione sulla qualità degli studi?

I grandi balzi in avanti dell’umanità sono sempre stati determinati da ricerche di base, fondamentali, senza fini immediati di ricadute applicative o di benefici diretti. Ma è chiaro che chi fa ricerca lo fa grazie al sostengo del resto della società, e a questa deve dare un ritorno tangibile, sia questo sotto forma di aumento della conoscenza, in formazione di nuove generazioni di persone che poi vanno a inserirsi nel sistema sociale, o grazie a nuove tecnologie che derivano in modo diretto o indiretto dalla ricerca di base. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo aumento della pressione a fare della ricerca “utile”. Questo è assolutamente comprensibile e anche auspicabile. Ma non possiamo ridurci a considerare buona solo la ricerca che provoca delle immediate ricadute. C’è chi ha parlato della utilità della ricerca “inutile”: senza di questa non si producono cambiamenti profondi.

-Quanta parte della ricerca in Bicocca è qualificabile come “ricerca di base”?

Difficile dare dei numeri, ma sicuramente la parte preponderante, ed è giusto che sia così. Se la ricerca di base non si fa nelle istituzioni pubbliche come le Università, prive di fini di lucro e esenti da logiche di mercato, dove altro si potrebbe fare? Di certo non nelle aziende o nelle industrie, che hanno finalità ben diverse. Però negli ultimi anni molto si è mosso anche sul piano della consapevolezza dell’importanza di tradurre i risultati della ricerca in motore di crescita sociale e industriale del paese. Ed ecco che le Università, compresa la nostra, hanno posto molta più attenzione sulla valorizzazione della ricerca.

-Il soggetto che più dovrebbe avere interessi di lungo termine è lo Stato: che ruolo ricopre oggi quest’ultimo nell’ambito della ricerca “pura”? Ci sono sicuramente margini di miglioramento: a suo avviso, dove si dovrebbe intervenire con maggior urgenza?

In Italia l’ente preposto al finanziamento della ricerca di base è il MIUR. Purtroppo i problemi di bilancio degli ultimi anni hanno prodotto come risultato il taglio netto di quasi tutti i finanziamenti a quest’ultima. Ora è annunciato il lancio di un importante bando PRIN, con fondi cospicui. Sarebbe la prima volta da parecchi anni. Oltre a dare ossigeno a un settore ormai asfittico, sarebbe un importante segnale di un cambiamento di tendenza, che aiuterebbe a guardare al futuro con un pizzico di ottimismo in più.

-In che modo è possibile coinvolgere il settore privato in un ambito di ricerca dai ritorni non coerenti con la logica aziendale del profitto?

Oggi non è possibile. Lo è stato in passato. Molti anni fa ho lavorato per il centro ricerche IBM in California. Allora i più grandi centri di ricerca erano presso grandi aziende, IBM, Bell Labs, Kodak, General Electric. E si faceva ricerca di base, svincolata da obiettivi concreti. Lì sono nati importanti scoperte e anche vari premi Nobel. Oggi tutto questo non c’e’ più e non è prevedibile che si torni a questo modello. Le aziende rispondono sempre più ai propri azionisti e hanno obiettivi che sono difficilmente conciliabili con investimenti a lungo termine e spesso anche a perdere, visto che molte ricerche di base non portano necessariamente a risultati diretti in termini di profitto.

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