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Psoriasi: contano genetica e stile di vita

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Redazione 15 Agosto 2018
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La psoriasi (dal termine greco psoriasis, che si riferisce alla sensazione di prurito provata da chi ne soffre) è una malattia multifattoriale, a cui contribuiscono cioè fattori genetici e ambientali. Si tratta di un’infiammazione solitamente cronica e recidivante della pelle che porta a una riproduzione esagerata di cellule, il cui ricambio passa da 28 a 4 giorni. Questo processo accelerato produce, a livello visivo, sintomi evidenti: un’area ben definita di rossore (edema) a cui si affianca un’area, dai contorni meno netti, squamosa e biancastra.

La genetica, si diceva, sembra essere un fattore determinante per la comparsa della psoriasi: nonostante non esistano test in grado di determinare con certezza chi ne sarà colpito, la familiarità aumenta le probabilità di svilupparla. Ma un ruolo importante giocano anche i fattori ambientali: spesso sono proprio questi a scatenare la patologia, che altrimenti potrebbe (in via ipotetica) restare silente. I fattori di rischio sono numerosi e possono essere connessi allo stress psicologico (spesso un episodio di stress anticipa di qualche giorno la comparsa della malattia), a traumi fisici (ad esempio, abrasioni, contusioni, grattamenti, dermatiti, chirurgia, tatuaggi, herpes zoster) e a infezioni respiratorie ( in particolare faringo-tonsilliti).

Anche il fumo sembra aumentare la probabilità di ammalarsi, assieme ad alcuni farmaci (tra gli altri, interferone e litio). Alcuni studi clinici indicano una possibile correlazione tra psoriasi e malattie cardiovascolari, tra cui ictus e infarto del miocardio. Le parti del corpo più colpite sono gomiti, ginocchia, mani, cuoio capelluto (leggi anche: forfora, cause e rimedi), piedi. Si tratta, comunque, di una patologia non infettiva nè contagiosa: non si trasmette, quindi, per contatto.

I sintomi della psoriasi sono patule e placche eritematose; contrariamente all’etimologia, non è sempre presente il prurito. La gran parte delle persone affette da psoriasi presenta solo segni lievi, trattabili in maniera efficace con terapie locali. Le forme più gravi sono trattate per via sistemica: la cura, in questo caso, deve essere prescritta solo dopo approfonditi esami ematochimici e di funzionalità epatica, data la potenziale tossicità di molti farmaci. Alcuni pazienti traggono beneficio dalla ittioterapia, una metodologia alternativa che prevede l’utilizzo di organismi marini che hanno l’abitudine di nutrirsi di tessuto ipercheratosico, favorendo la pulizia della lesione. Questo, assieme all’effetto emolliente dell’acqua calda tra i 28 e i 34 gradi, provoca sollievo dai sintomi cutanei.

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