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Prevenire il diabete: occhio a stile di vita e fattori di rischio

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Redazione 3 Marzo 2021
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Quella legata al diabete può essere considerata una pandemia, dal momento che, in media, le persone affette da questa patologia sono triplicate dal 2000 a oggi: il dottor Antonio Bossi, diabetologo di Humanitas Gavazzeni a Bergamo, ci spiega come prevenirlo e quali sono i fattori di rischio.

Dottor Bossi, quali sono i tipi di diabete e come e perché ci ammaliamo?

«Il diabete tipo 2 è quello più frequente, ma non dobbiamo pensare che lo si debba affrontare con minor impegno. Ne sono colpite in genere le persone adulte, spesso in sovrappeso od obese che possono trarre giovamento da terapie come il risveglio dell’attività motoria, il controllo dell’alimentazione e anche farmaci orali (o iniettivi in alcuni casi). Il diabete tipo 1, invece, che una volta era chiamato “diabete giovanile”, è molto meno diffuso – riguarda circa il 5% di tutti i casi di diabete – ma richiede, per la sua cura, l’impiego di terapie insuliniche. E non dobbiamo dimenticare il cosiddetto diabete gestazionale, che è quello che compare nelle donne durante la gravidanza e che deve essere tenuto sotto controllo periodico (dopo il parto) per riconoscere l’eventuale sviluppo di diabete tipo 2, che si verifica nel circa 5-10% dei casi di diabete gestazionale».

Oltre che come conseguenza del diabete gestazionale, perché insorge il diabete tipo 2?

«Il diabete tipo 2 insorge perché si viene a creare un’alterazione del messaggio dell’insulina a livello delle cellule periferiche. L’insulina è un ormone che viene prodotto dal pancreas e che permette l’ingresso del glucosio – la principale fonte energetica, la vera e propria “benzina” del nostro corpo – all’interno delle cellule. Se c’è un’anomalia che riguarda l’azione dell’insulina non si crea energia attraverso il metabolismo e quindi le cellule sono destinate a soffrire».

Quanto influisce la genetica, la familiarità a queste patologie?

«La familiarità conta in parte, nel senso che di sicuro c’è una componente genetica, soprattutto per quanto riguarda l’insorgenza del diabete tipo 2. Questa componente fa sì che se noi siamo a conoscenza della presenza di un genitore, soprattutto della mamma, che soffre o ha sofferto di diabete, procediamo con un’azione di diagnosi precoce, soprattutto a partire da una certa età in poi. Che per le donne coincide con quella dell’arrivo della menopausa e per gli uomini parte dai 45-50 anni in poi. Detto questo, ritengo però che ci siano altri fattori di rischio in grado di avere una maggiore incidenza sull’insorgenza del diabete».

Quali sono, questi i fattori di rischio?

«Il primo di questi è l’età: con l’avanzare degli anni il rischio di andare incontro a diabete aumenta: prima dei 55/60 anni la probabilità è vicina al 5%, sopra i 65 raggiunge anche il 20% della popolazione. Il secondo è la sedentarietà, che deve essere evitata il più possibile. Il terzo è lo stile alimentare: il consumo di alimenti molto raffinati e ricchi di zuccheri semplici oltre a una scarsa attenzione per il cosiddetto cibo-spazzatura possono portare, alla lunga, all’esaurimento funzionale di quel connubio che deve esserci tra l’insulina e le cellule, condizione che porta dritti dritti al diabete».

Quali sono i campanelli d’allarme che ci possono rivelare la presenza di diabete tipo 1 o tipo 2?

«Per il diabete tipo 1 non ci sono veri e propri campanelli d’allarme perché è una malattia che si presenta in forma acuta. Quando colpisce i bambini, questi tendono a dimagrire in modo molto rapido e ad assumere un odore caratteristico di acetone e i genitori si possono accorgere della presenza di diabete perché il piccolo fa tantissima pipì. Il diabete tipo 2, può invece essere accompagnato da infezioni urinarie, che nell’uomo spesso sono scambiate per problemi di natura prostatica. Un altro segnale può essere la piorrea, cioè il ritiro delle gengive che può portare anche alla caduta dei denti, che può essere causata da un diabete che perdura da un certo tempo senza essere stato riconosciuto e curato. Questi segnali devono essere comunicati al più presto ai medici di famiglia, che hanno un ruolo fondamentale ai fini della diagnosi precoce, assolutamente importante per iniziare le cure nelle fasi iniziali della malattia così da evitare quanto più possibile lo sviluppo di complicanze».

Fonte: www.gavazzeni.it

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